COMMENTO
DI MATTEO RIZZARDI | 23 OTTOBRE 2025
Il tema della responsabilità patrimoniale in capo ai soggetti che operano nelle associazioni, e in particolare nelle Associazioni Sportive Dilettantistiche (A.S.D.) prive di personalità giuridica, rappresenta da tempo un nodo cruciale nel diritto tributario e civile. L’attenzione si concentra sulla portata applicativa dell’art. 38 del Codice civile e sulla sua interpretazione da parte della giurisprudenza di legittimità, soprattutto quando l’obbligazione inadempiuta ha natura fiscale.
Introduzione giuridica e normativa: il crinale tra autonomia perfetta e imperfetta
Il nostro ordinamento distingue nettamente tra associazioni riconosciute e non riconosciute. Le prime, ottenendo il riconoscimento della personalità giuridica (dimostrando un patrimonio sufficiente e costituendosi per atto pubblico), godono di autonomia patrimoniale perfetta: i creditori possono rivalersi esclusivamente sul patrimonio dell’ente (fondo comune), senza intaccare quello personale degli associati o degli amministratori.
Al contrario, le associazioni non riconosciute, pur essendo soggetti giuridici distinti dagli associati e dotate di un proprio fondo comune (art. 37 c.c.), operano in regime di autonomia patrimoniale imperfetta.
È qui che interviene il fondamentale art. 38 c.c., il quale stabilisce che per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono agire sul fondo comune, ma di tali obbligazioni rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.
La ratio di questa previsione è chiara: contemperare l’assenza di un sistema di pubblicità legale del patrimonio dell’ente con l’esigenza di tutelare i creditori che hanno fatto affidamento sulla solvibilità di coloro che hanno concretamente negoziato.
Tale responsabilità non è un debito proprio dell’associato, ma ha natura accessoria e solidale rispetto all’obbligazione principale dell’associazione, configurandosi come una garanzia ex lege, assimilabile alla fideiussione.
Il principio di effettività e la sua modulazione per i debiti tributari
L’interpretazione consolidata dell’art. 38 c.c. ha da tempo escluso l’automatismo della responsabilità. La responsabilità personale e solidale non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza formale (ad esempio, la carica di presidente o membro del consiglio direttivo), ma si fonda sull’attività negoziale concretamente svolta per conto dell’ente e che si è risolta nella creazione di rapporti obbligatori con i terzi.
Chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l’onere di provare la concreta attività svolta, non essendo sufficiente la sola prova della carica rivestita.
Questo principio generale trova, tuttavia, una modulazione critica e peculiare quando si affrontano i debiti di natura tributaria.
Le obbligazioni d’imposta non sorgono su base negoziale, ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto.
La giurisprudenza di legittimità ha rilevato che, proprio in ragione della fonte legale dell’obbligazione tributaria, è chiamato a rispondere solidalmente (sia per il tributo che per le sanzioni) il soggetto che, in forza del ruolo rivestito, abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. Il richiamo all’effettività dell’ingerenza mira a circoscrivere la responsabilità alle sole obbligazioni sorte nel periodo di relativa investitura.
Inoltre, la normativa fiscale impone al legale rappresentante l’obbligo di adempiere correttamente agli obblighi dichiarativi e di versamento, anche in caso di avvicendamento nella carica.
Questo approccio specializzato incide anche sul riparto dell’onere della prova.
Mentre per le obbligazioni contrattuali il creditore deve provare l’attività negoziale concreta, per le obbligazioni ex lege, l’attenzione si sposta dalla singola attività negoziale alla verifica della partecipazione e gestione dell’ente.
Pertanto, mentre l’attore (l’Agenzia delle Entrate) deve provare la qualità di rappresentante e/o gestore, grava sul soggetto chiamato a rispondere delle obbligazioni ex lege l’onere di dare prova della sua estraneità alla gestione dell’ente.
Commento all’ordinanza della Corte di Cassazione n. 27519/2025
L’Ordinanza della Corte Suprema di Cassazione n. 27519/2025 (Reg. Gen. 30645/2021) offre un’illuminante conferma e applicazione del principio di specializzazione della responsabilità tributaria nelle associazioni non riconosciute, tipicamente le A.S.D.
Il contesto fattuale e la controversia
Il caso verteva sull’impugnazione di un avviso di accertamento notificato a un associato, in qualità di componente del consiglio direttivo di una Associazione Sportiva Dilettantistica, chiamato a rispondere in solido ai sensi degli artt. 36 e 38 c.c. per debiti IRES e IRAP relativi all’anno d’imposta 2011.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR), riformando la sentenza di primo grado, aveva confermato la responsabilità solidale, basandosi sul fatto che l’appellato risultava firmatario della domanda di iscrizione al campionato di eccellenza 2011-2012, qualificandosi come segretario del consiglio direttivo e come delegato con rappresentanza dell’associazione. La CTR aveva esaminato e ritenuto irrilevante l’accertamento di falsità delle firme apposte sull’atto costitutivo e sullo statuto.
Il ricorrente contestava in Cassazione (primo motivo) la violazione degli artt. 36 e 38 c.c., sostenendo che il documento utilizzato (la domanda di iscrizione) non fosse un “atto di gestione” e che, richiamando la giurisprudenza, la responsabilità dovesse fondarsi sulla concreta attività negoziale e non sulla mera carica. Il ricorrente lamentava inoltre la carenza di prova sull’effettività dell’ingerenza, evidenziando che i controlli dell’Ufficio avevano indicato il presidente S. come il “reale dominus dell’ente” e l’unico ad avere rapporti commerciali con gli sponsor.
La decisone della Cassazione: l’atto funzionale all’Ente e la gestione complessiva
La Suprema Corte ha rigettato i primi due motivi di ricorso, ritenendo che il giudice di secondo grado avesse applicato correttamente i principi di diritto nella materia fiscale.
Il punto dirimente risiede nella distinzione tra obbligazioni contrattuali e obbligazioni ex lege.
La Corte ribadisce che, mentre per le prime è richiesta la prova di un atto negoziale risolto nella creazione di rapporti con terzi, per i debiti d’imposta l’attenzione si concentra sul soggetto che abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo.
La Cassazione ha dato giusto rilievo all’irrilevanza del fatto che la domanda di iscrizione al campionato non fosse un atto di gestione in senso civilistico (ossia di assunzione di obbligazioni contrattuali). Il fatto che A. avesse certamente firmato la domanda di iscrizione, qualificandosi come segretario e apponendo un’ulteriore firma come delegato con rappresentanza, è stato ritenuto sufficiente a dimostrare l’effettiva assunzione della carica e la conseguente partecipazione alla gestione dell’ente.
Da un punto di vista critico, la sentenza segna un ulteriore passo verso l’autonomia del diritto tributario in questo ambito.
L’atto di iscrizione ad un campionato, pur esaurendo i suoi effetti sul piano del diritto sportivo, è stato elevato a prova dell’effettiva ingerenza nella vita funzionale dell’associazione, idoneo a superare il mero formalismo della carica e a fondare la responsabilità solidale per i debiti tributari. La prova, quindi, si basa su atti che dimostrino una partecipazione attiva e rappresentativa dell’ente nel suo complesso, non necessariamente atti che generano un debito specifico di natura contrattuale.
Inoltre, la Corte conferma che l’accertamento della falsità delle firme sull’atto costitutivo e sullo statuto (risultato di una querela di falso in sede civile) non era idoneo a smentire l’effettiva assunzione della carica, provata invece dal documento di iscrizione al campionato.
Conclusioni sulla ripartizione dell’onere probatorio
L’Ordinanza conferma il cruciale ribaltamento dell’onere della prova per le obbligazioni ex lege. Una volta che l’Ufficio impositore dimostra, attraverso documentazione significativa (come l’atto di rappresentanza presso la Federazione sportiva, nel caso di specie), la qualità di gestore/rappresentante del soggetto, è quest’ultimo a dover fornire la prova liberatoria della propria estraneità alla gestione complessiva dell’ente.
La linea ermeneutica così tracciata rende estremamente gravosa la posizione dei dirigenti delle associazioni non riconosciute: anche atti che a prima vista sembrerebbero avere un impatto limitato al solo ordinamento sportivo o interno, se sottoscritti con veste rappresentativa, possono costituire la prova regina dell’effettiva ingerenza nella gestione complessiva, rendendo operativa la responsabilità solidale ex art. 38 c.c. per i debiti fiscali.
Ciò impone una rigorosa vigilanza e consapevolezza da parte di tutti i membri, inclusi quelli del consiglio direttivo, riguardo agli adempimenti fiscali e alla gestione amministrativa dell’associazione.
Riferimenti normativi:
- Codice civile, artt. 36 e 38;
- Cass., sez. trib., ord. 15 ottobre 2025, n. 27519.
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