1° Documento Riservato: L’Approfondimento: Reddito d’impresa. Lavori in corso verso la piena armonizzazione fiscale

CIRCOLARE MONOGRAFICA

DI MATTEO RIZZARDI | 27 OTTOBRE 2025

Il caso delle commesse su ordinazione e la tassazione degli intangibili nelle cessioni d’azienda

Il diritto tributario d’impresa si configura come un sistema dinamico, costantemente in tensione tra l’esigenza di neutralità delle valutazioni contabili e la necessità di garantire l’integrità del prelievo fiscale. Questa dialettica si manifesta con particolare acutezza in due ambiti strutturali: la determinazione temporale del reddito derivante dai lavori in corso su ordinazione (LCRO) e la misurazione della base imponibile nelle operazioni straordinarie, quali la cessione d’azienda, specialmente in relazione a asset immateriali come l’avviamento e la corretta rilevazione delle passività. Recenti interventi normativi (D.Lgs. n. 192/2024) hanno cercato di attenuare le frizioni sul primo fronte, ma la giurisprudenza di legittimità, come testimoniato dalla pronuncia n. 27592/2025, continua a ribadire l’importanza del rigore contabile e della coerenza sostanziale nelle operazioni che generano componenti straordinarie di reddito.

Il lungo cammino verso l’armonizzazione fiscale dei lavori in corso su ordinazione

I criteri di valutazione civilistici: flessibilità e competenza economica

I lavori in corso su ordinazione (LCRO) definiscono la realizzazione di beni o la fornitura di servizi non di serie su specifiche richieste del committente, spesso attraverso contratti di appalto, e caratterizzati da cicli produttivi che trascendono l’esercizio.

La corretta rappresentazione in bilancio, in ossequio al principio della competenza economica, impone di distribuire costi e ricavi lungo gli esercizi in cui l’attività viene effettivamente svolta.

La normativa civilistica (art. 2426, nn. 9 e 11, c.c.) e l’OIC 23 prevedono due criteri fondamentali di valutazione per le rimanenze di LCRO:

  • criterio della commessa completata (o al costo): la valutazione è basata unicamente sui costi sostenuti, e l’utile complessivo viene riconosciuto interamente solo al completamento dell’opera, quando si verifica il trasferimento dei rischi e dei benefici. Questo metodo, pur garantendo risultati basati su dati consuntivi, può generare “andamenti irregolari dei risultati d’esercizio”, non riflettendo l’attività produttiva man mano che essa viene eseguita. Le condizioni per la chiusura della commessa e il trasferimento dei rischi includono l’accettazione del bene, il collaudo positivo (salvo procrastinamento non imputabile all’appaltatore), la non significatività dei costi post-completamento e la ragionevole stima delle incertezze residue;
  • criterio della percentuale di completamento (o dello stato di avanzamento): la valutazione avviene sulla base del corrispettivo contrattuale maturato, anche se superiore al costo, permettendo il riconoscimento di ricavi e margini in proporzione all’avanzamentofisico o economico dei lavori. Questo criterio è considerato preferibile per le commesse ultrannuali, a condizione che sussistano un contratto vincolante, una stima attendibile del risultato e la maturazione certa del diritto al corrispettivo. Le metodologie per calcolare lo stato di avanzamento includono il cost to cost (rapporto tra costi sostenuti e costi totali stimati), le ore lavorate o le misurazioni fisiche.

La preesistente antinomia fiscale e il principio di derivazione rafforzata

Storicamente, la disciplina fiscale IRES stabiliva criteri di valutazione rigidi e distinti in base alla durata della commessa, creando un fenomeno di “doppio binario” rispetto ai principi contabili.

  • per le commesse infrannuali (durata inferiore ai 12 mesi), l’art. 92, comma 6, del TUIR imponeva la valutazione tassativa in base alle spese sostenute nell’esercizio, escludendo di fatto il criterio della percentuale di completamento e la svalutazione al minor valore normale;
  • per le commesse ultrannuali (durata superiore ai 12 mesi), l’art. 93 del TUIR richiedeva la valutazione sulla base dei corrispettivi pattuiti e maturati in relazione alla parte eseguita (criterio di avanzamento fiscale), non ammettendo più la valutazione al costo a decorrere dal 2006 (Legge n. 296/2006).

Questa rigidità fiscale comportava la necessità di apportare variazioni temporanee in sede di dichiarazione e l’iscrizione delle relative imposte differite/anticipate, soprattutto quando le imprese redigevano il bilancio secondo i Principi Contabili Nazionali, per motivi di corretta rappresentazione di bilancio, sceglievano metodi non pienamente riconosciuti dal TUIR.

In particolare, l’Agenzia delle Entrate (AdE) e la Fondazione Nazionale dei Commercialisti avevano escluso che il principio di derivazione rafforzata (art. 83 TUIR), applicabile ai soggetti OIC adopter per la qualificazione, classificazione e imputazione temporale, potesse “disattivare” le regole di valutazione specifiche dettate dagli artt. 92 e 93 TUIR, poiché queste venivano considerate norme fiscali speciali preclusive.

L’AdE aveva in passato ribadito, con l’Interpello n. 132 del 28 aprile 2022, che l’applicazione del metodo della percentuale di completamento secondo l’OIC 23 si esauriva in un “fenomeno meramente valutativo” e non incideva sulla qualificazione dell’operazione, mantenendo quindi la piena operatività dell’art. 92, comma 6, TUIR per le commesse infrannuali.

Il D.Lgs. n. 192/2024: un nuovo assetto di coerenza fiscale

Il D.Lgs. n. 192/2024 è intervenuto per allineare, in applicazione dei principi della Legge delega n. 111/2023, la valutazione fiscale delle commesse a quella contabile, superando il “doppio binario”.

Le modifiche sostanziali riguardano:

  • commesse infrannuali (art. 92, comma 6, TUIR): se l’impresa, in conformità ai corretti principi contabili, valuta tali commesse con il metodo della percentuale di completamento (ricavi maturati anziché costi), tale metodo è ora applicato anche ai fini della determinazione del reddito imponibile IRES. Viene meno, così, la variazione in diminuzione precedentemente richiesta per l’eccedenza del valore rispetto ai costi sostenuti;
  • commesse ultrannuali (art. 93, comma 6, TUIR): se l’impresa, in conformità ai corretti principi contabili, valuta i lavori sulla base dei costi sostenuti (metodo della commessa completata), imputando i corrispettivi solo all’esercizio di consegna, anche tale metodo è ora riconosciuto ai fini della determinazione del reddito.

Queste disposizioni, applicabili dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, attribuiscono piena rilevanza fiscale ai criteri di valutazione contabile adottati, riducendo significativamente l’onere delle variazioni temporanee.

Tuttavia, una disciplina transitoria specifica stabilisce che le commesse già in corso al termine del periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2023 (ad esempio, al 31 dicembre 2023 per i soggetti solari) continuano ad essere regolate dalla “vecchia” disciplina fino al loro completamento, mantenendo quindi la necessità del doppio binario e della fiscalità differita per tali commesse pregresse.

Plusvalenze da cessione d’azienda e la rilevanza fiscale dell’avviamento

La cessione di azienda (o di ramo d’azienda) a titolo oneroso rappresenta una tipica operazione realizzativa che impone la determinazione della plusvalenza imponibile IRES.

Ai sensi dell’art. 86 del TUIR, la plusvalenza è determinata dalla differenza tra il corrispettivo conseguito, al netto degli oneri accessori, e il costo non ammortizzato dei beni ceduti.

L’avviamento come elemento essenziale della plusvalenza

L’avviamento (o goodwill) non è un bene fisico, ma un valore immateriale che riflette l’attitudine dell’azienda a produrre utili superiori all’ordinario, originato da una organizzazione efficiente o da un posizionamento favorevole sul mercato.

La normativa fiscale è categorica nel prevedere che, nell’ipotesi di cessione d’azienda, concorre alla formazione del reddito anche il valore di avviamento realizzato unitariamente.

L’Agenzia delle Entrate (Interpello n. 109 del 20 gennaio 2023) afferma che “l’avviamento, al pari degli altri beni che compongono l’azienda, assume rilevanza nella determinazione della plusvalenza, concorrendo a determinarla in misura pari al suo residuo valore fiscale non ammortizzato”.

Questo principio è fondamentale per garantire la simmetria fiscale: se il cedente ha dedotto parzialmente il costo dell’avviamento (tipicamente in 18 quote ai sensi dell’art. 103 TUIR), il residuo costo non ammortizzato deve essere portato in deduzione dal corrispettivo al momento della cessione, per evitare una doppia imposizione del medesimo valore.

La rilevanza dell’avviamento si applica anche quando la cessione coinvolge l’intero complesso aziendale o l’unico ramo d’azienda della cedente.

Il contrasto tra prezzo e valore normale: la questione della pregiudizialità Registro/Redditi

Un tema di grande rilievo e di notevole frizione tra fisco e contribuente riguarda poi il coordinamento tra la valutazione dell’avviamento effettuata ai fini dell’Imposta di Registro e la sua rilevanza nella plusvalenza IRES/IRPEF.

Secondo un orientamento giurisprudenziale largamente diffuso (Cass. n. 23125/2009Cass. n. 33616/2019 e Cass. n. 33243/2024), l’Amministrazione finanziaria ha la possibilità di procedere all’accertamento induttivo del valore di avviamento ai fini delle imposte sui redditi, agganciandolo al valore accertato, anche in via definitiva, in sede di imposta di registro.

Questo orientamento si fonda, talvolta, su principi costituzionali di uguaglianza e imparzialità (artt. 3 e 97 Cost.), sostenendo che lo stesso asset non possa avere due valori diversi (uno per il Registro e uno per i Redditi) nello stesso contesto temporale e in relazione allo stesso atto economico.

Tuttavia, tale automatica estensione del valore accertato dal Registro al reddito è fortemente criticata dalla dottrina e da parte della giurisprudenza:

  • differenza di presupposti: l’imposta di registro colpisce il trasferimento della ricchezza, basandosi sul valore venale (valore normale di mercato). Le imposte sui redditi, invece, colpiscono la ricchezza prodotta (plusvalenza), basandosi sul corrispettivo pattuito. I due concetti (valore normale e prezzo) sono diversi, e il valore normale rileva solo in assenza di corrispettivo o in ipotesi patologiche (es. transfer pricing);
  • sostanziale inversione dell’onere della prova: l’orientamento prevalente permette all’Ufficio di accertare induttivamente il prezzo di cessione IRES basandosi sul valore di Registro, assimilando l’antieconomicità dell’operazione (prezzo inferiore al valore di mercato) a un indizio di corrispettivo occultato. Questo sposta sul contribuente l’onere di dimostrare, anche con elementi indiziari, che il prezzo dichiarato è quello effettivo, giustificando la divergenza con fattori esterni al contratto.

In sintesi, pur non essendoci un vincolo normativo esplicito che lega l’accertamento di valore fra i due tributi, la giurisprudenza tende a utilizzare la rettifica del valore di avviamento ai fini del Registro come forte presunzione di evasione ai fini IRES, ponendo il cedente in una posizione di rischio se non riesce a documentare la coerenza economica dell’operazione.

La complessa disciplina delle passività fittizie e delle sopravvenienze attive

La controversia sulla corretta iscrizione e cancellazione delle passività è centrale per l’accertamento del reddito d’impresa, in quanto può generare sopravvenienze attive tassabili ai sensi dell’art. 88, comma 1, del TUIR.

Sopravvenienza attiva: insussistenza “sopravvenuta” o “originaria”?

L’art. 88, comma 1, del TUIR definisce la sopravvenienza attiva come la “sopravvenuta insussistenza” di spese, perdite, oneri dedotti o di passività iscritte in bilancio in precedenti esercizi.

La dottrina e la giurisprudenza (Cass. n. 26361/2020 e n. 3901/2023) più consolidata hanno tradizionalmente interpretato questa norma in senso restrittivo e letterale:

  • una sopravvenienza si verifica solo quando la passività, effettivamente esistente al momento della sua iscrizione, viene meno in un esercizio successivo a causa di eventi estintivi o modificativi sopravvenuti (ad esempio, condoni, rinunce del creditore);
  • non rientra nella nozione di sopravvenienza attiva l’accertamentoin un esercizio successivo, della originaria inesistenza o fittizietà di una posta passiva (un debito mai sorto o iscritto per errore). In tal caso, la rettifica contabile dovrebbe essere imputata all’esercizio in cui l’errore o la falsità sono stati commessi, non generando una sopravvenienza attiva tassabile nel momento della correzione.

Tuttavia, esiste un orientamento giurisprudenziale più severo (Cassazione n. 15617/2025), motivato da ragioni anti-elusive, che estende la portata dell’art. 88 TUIR, ritenendo che qualsiasi stralcio di una passività dal bilancio costituisca sempre una sopravvenienza attiva tassabile, anche se il debito era originariamente inesistente.

Questo approccio, sebbene contestato per la sua distanza dal tenore letterale della norma, di fatto sanziona la manovra contabile che ha ridotto l’imponibile in esercizi precedenti.

Un requisito fondamentale, indipendentemente dalla natura del sopraggiunto, è che la sopravvenienza attiva sia fiscalmente rilevante solo se la passività o l’onere correlato erano stati precedentemente dedotti ai fini fiscali.

In assenza di una precedente deduzione, la tassazione della sopravvenienza comporterebbe una violazione del principio di capacità contributivae l’emersione di una doppia imposizione.

L’avviamento negativo (badwill) come passività anomala

Un caso particolare di passività o fondo è rappresentato dall’avviamento negativo (badwill), che emerge quando il prezzo di acquisizione di un’azienda è inferiore al valore del patrimonio netto contabile rettificato.

Il badwill esprime l’attitudine dell’azienda a produrre sottoredditi (utili inferiori al congruo) e può essere correlato a perdite attese o alla necessità di riorganizzazioni future.

Il trattamento fiscale del badwill dipende dalla natura dell’operazione che lo ha generato:

  • operazioni realizzative (es. cessione d’azienda): in questo schema, il badwill in capo all’acquirente corrisponde alla minusvalenza realizzata dal cedente. Poiché la minusvalenza è deducibile, il badwill è considerato un fondo fiscalmente riconosciuto. Il suo utilizzo in esercizi successivi (ad esempio per compensare risultati negativi previsti) genera una sopravvenienza positiva imponibile, mantenendo l’equilibrio fiscale;
  • operazioni neutrali (es. conferimenti ex art. 176 TUIR, fusioni/scissioni): nelle operazioni neutre, mancando la deduzione della minusvalenza per il soggetto conferente/incorporato, il badwill iscritto dall’acquirente non ha riconoscimento fiscale; è un fondo tassato. In tal caso, il suo utilizzo non genera una sopravvenienza imponibile, ma richiederà una variazione in diminuzione in dichiarazione.

La prassi dell’Amministrazione finanziaria (risoluzione n. 184/E del 25 luglio 2007) ha tentato di semplificare, sostenendo che il badwill non transita per il conto economico e, pertanto, non è soggetto alla tassatività dei fondi deducibili (ex art. 107 TUIR), risultando così sempre rilevante.

Questa interpretazione è stata criticata per non tener conto della necessaria simmetria che deve sussistere tra la deducibilità della minusvalenza in capo al cedente e la rilevanza fiscale del fondo in capo al cessionario.

L’analisi della sentenza della Corte di Cassazione n. 27592/2025: la riaffermazione del rigore fiscale

E veniamo ora ad analizzare l’ultima pronuncia giurisprudenziale di rilievo per quanto concerne i temi fin qui affrontati

La sentenza n. 27592, pubblicata il 16 ottobre 2025, affronta, infatti, un caso di cessione di ramo d’azienda (riferito al periodo d’imposta 2008) in cui l’Amministrazione finanziaria aveva contestato tre distinte violazioni finalizzate a sminuire le attività e aumentare le passività dell’operazione, al fine di sottrarre valore imponibile.

La Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, statuendo principi fondamentali sulla coerenza contabile e sulla corretta applicazionedelle norme del TUIR.

La violazione dei criteri di valutazione delle rimanenze

Il primo profilo di censura riguardava la scorretta valutazione delle rimanenze finali delle opere in corso, il cui valore era stato sminuito e riassunto nel conto economico.

La Corte ha riconosciuto la violazione dell’art. 93 del D.P.R. n. 917/1986, richiamando il principio di diritto secondo cui, in tema di determinazione del reddito d’impresa, la valutazione delle giacenze relative a commesse ultrannuali deve essere effettuata con il criterio della percentuale di completamento.

Tale criterio è essenziale per ripartire l’utile totale dell’operazione lungo i vari esercizi di svolgimento dei lavori, in proporzione ai lavori eseguiti, evitando la concentrazione dell’imponibile nell’ultimo esercizio.

La valutazione deve essere basata sulla “fotografia” dei lavori svolti fino alla data di cessione, come risultante dagli stati di avanzamento lavori (SAL) sottoscritti dai tecnici.

La Suprema Corte ha censurato l’errore del giudice di merito che aveva concesso una “facoltà di deroga ai criteri generali, che non possono valere ai fini fiscali”.

Inoltre, la sentenza ha riaffermato i principi in materia di tassazione delle maggiorazioni di prezzo nelle opere ultrannuali (art. 93, comma 2, TUIR):

  • sono tassabili (in misura non inferiore al 50% fin dalla richiesta) i proventi accessori e le variazioni di costo (es. art. 1664 c.c.) che scaturiscono direttamente da disposizioni di legge o clausole contrattuali, godendo del requisito della certezza della pretesa;
  • non sono assoggettabili a tassazione immediata le “riserve di cantiere” o le “riserve per varianti in corso d’opera” o le istanze risarcitorie, poiché prive del requisito della certezza, configurandosi come mere proposte di modifica del negozio o istanze risarcitorie.

L’anomalia contabile delle passività debitorie in cessione

Il secondo profilo di censura riguardava l’iscrizione di una “consistente posta passiva” in un conto denominato “Infrastrutture c/conguagli di cessione” nello stato patrimoniale della cedente, con l’effetto di azzerare la convenienza economica dell’operazione.

La Corte ha ritenuto tale posizione debitoria “totalmente anomala nella prassi ed eccentrica alle disposizioni normative”, in quanto una vendita (cessione) dovrebbe generare una posizione creditoria in capo al cedente, non una debitoria. L’ultima annotazione contabile (“assest. Rilievo cessione azienda”) era stata utilizzata per trasformare un’attività in perdita, risultando estranea alla regolarità e prassi contabile.

Il principio fondamentale richiamato è quello della coerenza delle scritture, che devono trovare “giustificazione analitica e sintetica”.

La Corte, pur non esplicitando se la passività fosse originariamente fittizia o sopravvenuta (distinzione dibattuta nella giurisprudenza), ha sindacato l’operato contabile che manifestamente violava la sostanza economica dell’operazione.

La sentenza ricorda che, in linea di principio, l’iscrizione di una passività fittizia (per errore o falsità) non genera una sopravvenienza attiva nell’esercizio successivo in cui l’errore viene corretto, ma la rettifica andrebbe imputata all’esercizio originario dell’errore.

Tuttavia, in questo caso, l’attenzione della Corte è focalizzata sulla manovra antieconomica e sull’assenza di giustificazione per l’anomala passività.

La neutralizzazione fiscale dell’avviamento

Il terzo profilo accoglieva la ripresa relativa alla neutralizzazione del valore di avviamento.

La Corte ha riscontrato che l’avviamento era stato neutralizzato nel conto economico della cedente (attraverso la scrittura di assestamento “rilievo cessione azienda”), impedendo che esso concorresse alla formazione della plusvalenza imponibile.

Questo fatto si poneva in palese contrasto con il riconoscimento e la capitalizzazione del medesimo valore tra le immobilizzazioni immateriali nel bilancio della società cessionaria, a fronte di un prezzo pagato.

La decisione, su questo specifico tema, riafferma pertanto l’obbligo, previsto dall’art. 86 TUIR, che l’avviamento concorra alla formazione dell’utile imponibile nella plusvalenza da cessione.

Neutralizzare tale valore attraverso scritture di assestamento non giustificate, quando tale asset è stato oggettivamente trasferito ad un prezzo che lo ingloba e capitalizzato dal cessionario, costituisce una chiara violazione delle regole di determinazione del reddito.

Spunti critici e considerazioni conclusive

La sentenza n. 27592/2025 offre un significativo spunto di riflessione sulla giurisprudenza di legittimità, che continua a svolgere un ruolo di supplenza interpretativa e di controllo sostanziale sull’applicazione delle norme tributarie, in particolare laddove si riscontrano manovre contabili ritenute antieconomiche o finalizzate alla riduzione della base imponibile.

L’approccio della Corte è marcatamente improntato al principio di coerenza fiscale.

Nel caso delle LCRO (art. 93 TUIR), il rigore imponeva, nel regime previgente, l’applicazione del criterio della percentuale di completamento per le opere ultrannuali, a prescindere dalle scelte civilistiche, al fine di evitare la posticipazione dell’imponibile.

Sebbene il D.Lgs. n. 192/2024 abbia mitigato questo conflitto, consentendo maggiore discrezionalità contabile e superando, in parte, il doppio binario, i principi di certezza e corretta imputazione temporale, così come definiti dalla Cassazione riguardo alla distinzione tra maggiorazioni certe e mere riserve, rimangono pienamente validi e fungono da monito per la corretta gestione delle commesse.

Riguardo alla cessione d’azienda, la sentenza cristallizza un punto fermo: l’avviamento, quale componente intrinseca del valore di cessione, deve concorrere alla formazione della plusvalenza imponibile IRES in misura pari al suo residuo valore fiscale.

Il tentativo di neutralizzazione contabile, specialmente se apparentemente privo di giustificazione economica o giuridica e in evidente contrasto con il trattamento contabile del cessionario (che lo capitalizza), viene sanzionato come manovra elusiva o quantomeno anomala.

Il sindacato sulla contabilizzazione della passività debitoria anomala rafforza il principio che le scritture contabili devono riflettere la sostanza economica delle operazioni.

Ciò nonostante, il dibattito sulla natura della sopravvenienza attiva in caso di passività ab origine fittizie resta aperto.

Se da un lato, l’approccio letterale (art. 88 TUIR) sembra escludere la tassazione se il debito non è mai esistito e non è venuto meno per un evento sopravvenuto, dall’altro, l’orientamento più pragmatico della giurisprudenza, teso a recuperare il minor imponibile indebitamente creato in esercizi precedenti, tende a ritenere che “qualsiasi stralcio di passività dal bilancio è sopravvenienza attiva”.

Questo scostamento dall’interpretazione letterale solleva critiche sulla corretta esegesi della norma, ma sottolinea la severità della Corte nel contrastare le manovre che alterano la base imponibile.

In conclusione, l’analisi congiunta della riforma sul LCRO e della giurisprudenza di legittimità dimostra che, mentre il legislatore si muove verso una maggiore armonia tra bilancio e fisco nelle aree di gestione ordinaria (come le rimanenze), la Corte di Cassazione mantiene un atteggiamento di massimo rigore sulle operazioni straordinarie e sulle poste valutative, esigendo una coerenza contabile che trascenda la mera forma e si ancori alla sostanza economica del fenomeno aziendale.

Tale contesto impone agli operatori di esercitare la massima cautela e trasparenza, sapendo che l’antieconomicità, anche se non strettamente elusiva, viene sistematicamente utilizzata dall’Amministrazione finanziaria come forte indizio di violazioneinvertendo di fatto l’onere della prova in capo al contribuente.

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