1° Documento Riservato: OIC, derivazione rafforzata e contenzioso: chi decide quando un ricavo è certo?

CIRCOLARE MONOGRAFICA

DI MASSIMILIANO TASINI | 31 OTTOBRE 2025

La Cassazione n. 24485/2025 e le competenze perdute

Il Codice civile impone di redigere il bilancio di esercizio nel rispetto del principio di competenza. Il Testo Unico delle Imposte sui redditi, all’art. 109, comma 1, impone di determinare il reddito di esercizio nel rispetto del principio di competenza, declinando le regole per la sua concreta attuazione. Di talché, possono determinarsi asimmetrie tra reddito civile ed imponibile fiscale, che andranno corrette attraverso il meccanismo delle variazioni fiscali. A partire dal 2016, con riferimento ai soggetti OIC Adopter trova applicazione il principio di derivazione rafforzata, e dunque a tali soggetti non si applica l’art. 109 citato: comanda il bilancio, e se dunque le scelte sulla individuazione dell’esercizio di competenza sono state correttamente applicate sul piano civilistico, esse vincolano anche l’Agenzia delle Entrate. Naturalmente, occorrerà fare riferimento ai Principi contabili, i quali non sempre riescono a rispondere ai problemi pratici che il redattore del bilancio si trova a dover affrontare, e dunque residuano più e più aree di incertezza. Così nasce il contenzioso.

Il fatto controverso

Nel 2009 una società di capitali viene condannata dal Tribunale a risarcire una somma di danaro. Essendo insoddisfatta della pronuncia, la società la appella ed il relativo giudizio va a sentenza nel 2014, anno nel quale la sentenza sul punto viene confermata, ma al contempo la Corte d’Appello riconosce il rimborso parziale di una parte di quel risarcimento da parte di altra società.

Quale soluzione contabile/fiscale è stata adottata? Il costo da risarcimento è stato contabilizzato nel 2014, diversamente dalla sopravvenienza attiva, la cui rilevazione è stata rinviata all’esito del giudizio di Cassazione. Una soluzione evidentemente influenzata dalla natura incerta della sentenza di primo grado (per il costo da risarcimento), così come quella di secondo grado (per il provento relativo al ristorno parziale del risarcimento): un requisito essenziale, in mancanza del quale la competenza va traslata in avanti nel tempo.

Questa impostazione non è stata tuttavia condivisa dall’Agenzia delle Entrate, secondo la quale ai fini fiscali la corretta applicazione del principio di competenza avrebbe comportato la rilevazione del costo nel 2009 e del provento nel 2014: la sentenza, infatti, conferisce sufficiente certezza al componente economico, tesi peraltro rafforzata dalla Corte di merito di secondo grado, per la quale a questi fini rileva anche l’esecutività accordata dal Giudice civile alla sentenza.

La vicenda tributaria giunge dunque alla Corte di Cassazione, che, con la sentenza n. 24485 del 2025 la risolve a favore del contribuente: la sentenza di merito non è elemento decisivo per conferire la certezza del costo e del provento e dunque ben ha fatto la società ad attendere l’esito della vicenda.

Alcune prime considerazioni

Si possono intanto svolgere due semplici considerazioni.

La prima: la vicenda è risalente nel tempo, in quanto riferita ad una annualità per la quale non era applicabile il principio di derivazione rafforzata.

Sembra tuttavia potersi sostenere che l’Agenzia delle Entrate non sarebbe giunta ad una diversa conclusione laddove si fosse trattato di una annualità successiva al 2015. L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta a consulenza giuridica n. 9 del 4 agosto 2020, aveva infatti già affermato che i soggetti OIC Adopter devono individuare il periodo di imputazione fiscale dei componenti di reddito sulla base dei criteri previsti nei Principi contabili.

In particolare, il paragrafo 30 dell’OIC n. 15 prevede che:

i crediti che si originano per ragioni differenti dallo scambio di beni e servizi … sono iscrivibili in bilancio se sussiste “titolo” al credito, e cioè se essi rappresentano effettivamente un’obbligazione di terzi verso la società”;

il paragrafo 39 dell’OIC n. 19 simmetricamente prevede che:

… i debiti che si originano per ragioni diverse dallo scambio di beni e servizi sono iscrivibili in bilancio quando sorge l’obbligazione della società al pagamento verso la controparte, da individuarsi sulla base delle norme legali e contrattuali”.

Secondo l’Agenzia, la circostanza per la quale nessuno dei due documenti fa riferimento alla immodificabilità della obbligazione sorta lascia ritenere che la sentenza sia titolo idoneo all’iscrizione, sia del costo che del provento.

Per il vero, la Consulenza giuridica richiama pure il paragrafo 12 dell’OIC n. 31, in materia di fondi rischi per cause in corso, ma il riferimento non sembra del tutto coerente, atteso che il passaggio è relativo alla stima dei costi ed oneri futuri in riferimento a liti in corso, laddove “sia ritenuto probabile” un esito sfavorevole: ciò che stiamo valutando non è infatti la stima in ragione di un possibile esito, bensì la certezza di una pronuncia di merito che è stata (o potrebbe essere) impugnata.

La seconda: la sentenza si pone in contrasto con altre pronunce della stessa Suprema Corte: soprattutto, mi riferisco all’ordinanza n. 11917/2025, con la quale è stato affermato che, riguardo alla rilevazione di sopravvenienze attive conseguenti al conseguimento di proventi sub judice, la sentenza costituisce, di regola, elemento idoneo a conferire il requisito della certezza, fatta salva l’ipotesi in cui la sua esecutività sia sospesa in sede di impugnazione (ma questo apre delicati problemi di fatto, tenendo conto che impugnazione e/o sospensione degli effetti esecutivi certamente intervengono in momenti diversi).

Un tentativo di raffinare il concetto

Quanto affermato dalla sentenza mi pare poter essere così sintetizzato.

Nell’ambito di un complesso giudizio contenzioso di risarcimento del danno che vede coinvolte anche contrapposte compagnie assicurative, i costi posti a carico del contribuente in una sentenza di primo grado non possiedono un grado di certezza tale da far ritenere che essi debbano essere necessariamente imputati all’esercizio in cui è stata pronunciata la sentenza di primo grado, diventando ragionevolmente certi solo in seguito alla sentenza di secondo grado. Analogamente, per gli elementi attivi, la spettanza in capo al contribuente di indennità assicurative stabilite da sentenza di appello ma contestate in maniera non manifestamente infondata dalla società debitrice comporta la corretta esclusione dalla contabilizzazione degli elementi attivi nell’anno di pronuncia della sentenza di appello delle somme determinate a titolo di indennizzo oggetto di contestazione fondata.

Qual è il punto decisivo? L’esistenza di una contestazione sulla pronuncia non manifestamente infondata (sia lato attivo che passivo) toglie certezza, ed esclude la rilevanza fiscale del costo, così come del provento.

Se ho ragione, e mi pare davvero che questo sia il perno della contesa, l’amministratore è chiamato ad una valutazione sulla fondatezza dell’esito del contenzioso. Valutazione che ha un impatto notevole anche sul bilancio di esercizio e che, però, potrebbe essere strumentalizzata da controparte.

Si faccia il caso di una controversia in materia di appalto, nella quale la società committente vede accogliere la richiesta di risarcimento per un errore nella costruzione di un fabbricato. L’impugnazione di controparte potrebbe essere quantomeno suggestiva/persuasiva, e suggerire la mancata appostazione civile della sopravvenienza, con gli effetti fiscali che ne rivengono. Ma, questa strada con ogni probabilità genererà una situazione conflittuale con l’Agenzia delle Entrate, nonché, come accennavo sopra, una possibile “strumentalizzazione” di controparte, del tipo: “tu stesso non credi alla bontà della sentenza”.

D’altra parte, la rilevazione di un provento potrebbe costituire la “soluzione” per sanare una situazione patrimoniale appesantita, quindi la società ben potrebbe essere propensa ad accordare certezza alla sentenza; e specularmente, potrebbe essere propensa a ritenerla instabile se avesse già realizzato un rilevante utile, cui si collega un rilevante ammontare di imposte dovute.

E, naturalmente, vale l’esatto contrario per la società tenuta a corrispondere le somme.

Conclusione

La soluzione sta, come spesso accade, nel modo in cui l’organo amministrativo giustifica e documenta la propria decisione. Si tratta di un “semplice” caso di applicazione della business judgement rule, nella quale l’organo dispone di discrezionalità, ovviamente sempreché non si scivoli nella irragionevolezza. Quindi, si prenderà posizione in apposito verbale del consiglio, o anche in una determina dell’amministratore unico, nonché in assemblea, magari evitando di farlo in delibere soggette al deposito presso il Registro delle imprese; si documenterà l’operato sulla scorta di un parere legale, si terrà conto di quanto ritenuto dall’organo di controllo/revisore legale, nelle rispettive competenze (quest’ultimo sarà in particolare investito della importantissima valutazione sulla continuità aziendale).

Sullo sfondo, si apre una volta di più un ragionamento sul quale sarà bene che tutti noi ci esercitiamo, a maggior ragione se, come sembra (pur con timidezza), l’orientamento politico è nel senso di continuare ad avvicinare il risultato di bilancio all’imponibile fiscale: se il Fisco non può “lavorare” sulle variazioni fiscali, sarà costretto a risalire ai bilanci ed alla loro costruzione. Sapremo davvero applicare i Principi contabili per proteggere i nostri clienti?

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