3° Contenuto Riservato: Rassegna di Giurisprudenza 31 ottobre 2025, n. 620

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

A CURA DI BENEDETTA CARGNEL | 31 OTTOBRE 2025

COOPERATIVA

Lavoro subordinato

La tutela prevista per il socio lavoratore – Cass., Sez. Lav., ord. 7 ottobre 2025, n. 26958

Il Fatto

Alcuni soci lavoratori di una cooperativa, in regime di appalto, domandavano alla società committente il pagamento delle differenze retributive non recuperate tramite diffida accertativa, calcolate sulla base del effettivamente applicabile.

Il Tribunale  e la corte di appello rigettavano  la domanda ritenendo i crediti prescritti, , sostenendo che l’orientamento sulla sospensione della prescrizione non si applicasse ai soci lavoratori di cooperativa.

I lavoratori ricorrevano per  Cassazione.

Il Diritto

La Corte di Cassazione osserva che la legge n. 142/2001 esclude l’applicabilità della tutela reintegratoria forte (art. 18 St. Lav.) solo se viene a cessare anche il rapporto associativo, in caso di mero licenziamento del socio, il regime di tutela del rapporto di lavoro subordinato rimane incerto e non predeterminabile a priori.

Di conseguenza, l’astratta possibilità di applicazione delle tutele meno stabili (L. n. 604/1966 o l’art. 18 novellato dalla L. n. 92/2012/D.Lgs. n. 23/2015) non garantisce la stabilità del rapporto.  In virtù dell’esistenza dei medesimi presupposti di fatto relativi al metus (timore del lavoratore), la Corte stabilisce che anche ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica il regime di decorrenza della prescrizione dalla fine del rapporto.

La corte pertanto  accoglie il ricorso.

INAIL

Lavoro subordinato

Il necessario presupposto del lavoro subordinato per accedere alla prestazioni INAIL – Cass., Sez. Lav., ord. 9 ottobre 2025, n. 27104

Il Fatto

Un lavoratore adiva il tribunale convenendo in giudizio l’INAIL, per ottenere il riconoscimento della natura professionale delle patologie assunte di aver contratto nell’esercizio delle proprie mansioni lavorative.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello rigettavano la domanda, non essendo stata fornita la prova del rapporto lavorativo.

Il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ribadisce che, in ragione del sistema dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (D.P.R. n. 1124/1965),presupposto per l’applicazione delle tutele richieste all’INAIL è l’esistenza di un rapporto di lavoro.

L’accertamento della natura professionale della malattia presuppone l’esistenza di un lavoro e la sussistenza della patologia in ragione delle mansioni espletate nell’esecuzione del rapporto di lavoro. Poiché il lavoratore non aveva chiesto l’accertamento del rapporto di lavoro e si era limitato a deduzioni generiche in merito alla prestazione lavorativa, alle mansioni e al datore di lavoro, mancava un presupposto essenziale per la concessione dei benefici richiesti. Senza l’accertamento di tale presupposto, non si poteva procedere alla delibazione circa le provvidenze a carico dell’INAIL.

La Corte pertanto rigetta il ricorso.

INPS

Posizione contributiva

L’onere probatorio gravante sul lavoratore per la regolarizzazione della posizione contributiva – Cass., Sez. Lav., ord. 16 ottobre 2025, n. 27576

Il Fatto

Un lavoratore chiedeva la regolarizzazione della propria posizione contributiva per il periodo in cui aveva lavorato in regime di parasubordinazione al fine di ottenere un incremento del rateo pensionistico.

La Corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva la domanda del lavoratore, che ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che l’onere di provare l’effettivo versamento della contribuzione superiore, a fondamento della richiesta di ricalcolo del rateo pensionistico, spetta al lavoratore. La contumacia dell’INPS in primo grado non poteva valere come mancata contestazione, poiché il principio di non contestazione si riferisce solo alla parte costituita.

La corte pertanto rigetta il ricorso sul punto, pur accogliendolo in tema di regolamentazione delle spese giudiziali.

LAVORO A TEMPO DETERMINATO

Illegittima reiterazione

Il risarcimento del danno per l’illegittima reiterazione dei contratti a termine – Cass., Sez. Lav., ord. 11 ottobre 2025, n. 27240

Il Fatto

Un lavoratore del settore pubblico privatizzato conveniva in giudizio il datore di lavoro per far accertare  la nullità dei termini apposti ai contratti di lavoro a termine e la condanna al risarcimento del danno per l’abusiva reiterazione degli stessi.

La corte d’appello in sede di rinvio rigettava la domanda, rilevando che la stabilizzazione era avvenuta in forza del diritto di precedenza spettante per legge e che, quindi, sussisteva un rapporto diretto di causa efficiente tra il pregresso abuso e la successiva stabilizzazione.

Il lavoratore ricorreva nuovamente in Cassazione.

Il Diritto

La corte richiama il principio secondo cui, nel lavoro pubblico privatizzato, l’immissione in ruolo successiva alla reiterazione abusiva di contratti a termine ha efficacia riparatoria dell’illecito solo in presenza di una stretta correlazione tra l’abuso commesso e la stabilizzazione. La stretta correlazione richiede che la stabilizzazione sia l’effetto diretto ed immediato dell’abuso e non semplicemente agevolata da esso. Tale condizione non ricorre quando l’assunzione a tempo indeterminato avviene a seguito di procedure concorsuali o, come nel caso in esame, nelle forme ordinarie previste (art. 35, lett. b), D.Lgs. n. 165/2001) in cui l’aspirante all’assunzione, dopo aver superato una prova di idoneità, si avvale del diritto di precedenza. In questa ipotesi, l’assunzione discende da una pluralità di condizioni (in primis il superamento della prova) e non è finalizzata alla stabilizzazione del personale precario. L’assunzione è, quindi, solo agevolata ma non determinata dalla reiterazione.

La Corte pertanto accoglie il ricorso.

LICENZIAMENTO

Principio di proporzionalità

La valutazione giudiziale della proporzionalità del licenziamento – Cass., Sez. Lav., ord. 17 ottobre 2025, n. 27731

Il Fatto

Un lavoratore  impugnava il licenziamento per giusta causa intimatogli dalla società datrice.

La corte d’appello, in riforma della sentenza di primo grado, respingeva le domande, ritenendo legittimo il licenziamento.

Il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte ricorda che il giudizio di proporzionalità tra licenziamento disciplinare e addebito contestato è devoluto al giudice di merito. Tale valutazione, che implica un apprezzamento dei fatti storici, è sindacabile in sede di legittimità soltanto in caso di motivazione mancante, perplessa, obiettivamente incomprensibile o fondata su argomenti inconciliabili. Nel caso di specie, la censura del lavoratore censura mirava a contestare il giudizio di proporzionalità nonché a criticare l’apprezzamento della gravità della condotta tenuta in concreto dal lavoratore, senza neanche prospettare che la medesima potesse essere punita con una sanzione conservativa, atteso che le previsioni del contratto collettivo individuano fattispecie alle quali non sono riconducibili i comportamenti addebitati.

La Corte pertanto rigetta il ricorso.

PENSIONE

Inps

Il ricalcolo della pensione e i suoi presupposti – Cass., Sez. Lav., ord. 16 ottobre 2025, n. 27574

Il Fatto

Un lavoratore adiva il tribunale per ottenere  la rideterminazione del proprio trattamento pensionistico con l’applicazione dell’incremento minimale previsto dall’art. 3, co. 15, della L. n. 335/95.

Il tribunale e la corte d’appello accoglievano la domanda rilevando che la decadenza prevista dall’art. 47, ult. co. del D.P.R. n. 639/70 fosse di tipo “mobile”, applicabile solo ai ratei di pensione anteriori al triennio precedente la domanda giudiziale.

INPS ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte  chiarisce  la corretta interpretazione dell’art. 3, co. 15, della L. n. 335/95. Tale norma, che fissa la misura minima del pro rata pensionistico liquidabile dall’ente previdenziale italiano, stabilisce che essa non può essere inferiore, per ogni anno di contribuzione, a un 1/40 del trattamento pensionistico minimo vigente alla data di entrata in vigore della legge, precisando che il trattamento minimo considerato è quello nazionale (come previsto dalla stessa L. n. 335/95) e che il limite minimo pari a 1/40 deve essere calcolato solo sulla contribuzione versata in Italia, senza includere quella versata all’estero. La totalizzazione è richiamata dalla norma solo ai fini dell’acquisizione del diritto a pensione, in coerenza con il Regolamento CEE n. 1408/71, mentre per la liquidazione della misura effettiva della prestazione, ciascuno Stato applica la propria legislazione.

Poiché i giudici non si sono attenuti a tale principio, la corte accoglie il ricorso.

Contribuzione

Il divieto di doppia contribuzione per lo stesso periodo lavorativo – Cass., Sez. Lav., sent. 5 ottobre 2025, n. 26759

Il Fatto

Un lavoratore proponeva ricorso contro Inarcassa per l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento di cancellazione della contribuzione e per il riconoscimento del diritto alla pensione di anzianità.

La Corte d’Appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava legittima l’esclusione dal ruolo previdenziale per il periodo in contestazione, in quanto l’obbligo di comunicazione di un’altra attività, previsto dall’art. 7 dello Statuto (e prima dall’art. 2 del regolamento attuativo della L. n. 1046/1971), era stato adempiuto solo con la domanda di pensione. Pertanto, il potere di revisione della Cassa era stato legittimamente esercitato prima del maturarsi del quinquennio dalla data di comunicazione.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione.

Il Diritto

La corte ribadisce che l’iscrizione a Inarcassa è riservata agli ingegneri e architetti che esercitano la libera professione con carattere di continuità e che sono esclusi dall’iscrizione coloro che sono iscritti a forme di previdenza obbligatoria per lavoro subordinato o altra attività esercitata, ribadendo il divieto di doppia contribuzione per periodi coincidenti.

La corte inoltre ricorda che  il potere della Cassa di rendere inefficaci i periodi per i quali la continuità non è dimostrata (nel quinquennio) è strettamente collegato all’assolvimento dell’onere di comunicazione posto a carico dell’iscritto (relativo allo svolgimento della diversa attività). Solo a partire da tale comunicazione prende avvio il termine decadenziale quinquennale per la revisione. La normativa di riferimento, fin dal regolamento attuativo della L. n. 1046/1971, ha sempre previsto un obbligo di comunicazione, a contenuto vincolato, funzionale all’esercizio del potere di verifica.

La Corte pertanto rigetta il ricorso.

RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO

Prova della sussistenza

La prova della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Cass., Sez. Lav., ord. 12 ottobre 2025, n. 27256

Il Fatto

Un lavoratore adiva il Tribunale per ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e la conseguente condanna della società datrice al pagamento delle differenze retributive.

Sia il Tribunale che la Corte d’appello rigettavano le domande, ritenendo che l’istruttoria non avesse dimostrato, con sufficienti margini di certezza, la natura subordinata del rapporto di lavoro, non essendo emerso l’assoggettamento gerarchico del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro.

Il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte osserva che valutazione sull’utilizzo delle presunzioni e sull’apprezzamento dei fatti di causa spetta al giudice di merito, e la sua motivazione, se adeguata, sfugge al sindacato di legittimità.

La corte, poi, ricorda che l vincolo di subordinazione consiste nell’assoggettamento gerarchico del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Qualora il vincolo della subordinazione non sia agevolmente riscontrabile a causa del concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro, è necessario far riferimento a criteri complementari e sussidiari i quali non assumono valenza determinante se singolarmente considerati, ma apprezzati nel loro complesso possono costituire indizi concludenti per l’esistenza di un rapporto subordinato, che nel caso di specie non era stato dimostrato.

La corte pertanto dichiara inammissibile il ricorso.

RETRIBUZIONE

Sospensione dal lavoro

La legittima mancata retribuzione del lavoratore in caso di sospensione dell’attività lavorativa – Cass., Sez. Lav., sent. 7 ottobre 2025, n. 26959

Il Fatto

Un lavoratore adiva il tribunale per far  dichiarare l’illegittimità della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, comminatagli dal datore di lavoro per mancato possesso del green pass rafforzato e per la mancata sottoposizione all’obbligo vaccinale imposto agli ultracinquantenni dall’art. 4-quater  D.L. n. 44/2021.

Il tribunale e la corte di appello confermavano la legittimità della sospensione e il lavoratore ricorreva per cassazione.

Il Diritto

La corte conferma che la sospensione dal servizio e la mancata corresponsione della retribuzione derivano dalla libera scelta personale del lavoratore di non sottoporsi a vaccino , e che il datore di lavoro, in tal caso, non versa in mora credendi, poiché la sospensione è dovuta alla carenza di un requisito sanitario essenziale per lo svolgimento della prestazione. La sospensione della retribuzione è, in sostanza, l’effetto della sospensione del sinallagma contrattuale (non una sanzione discriminatoria.

La corte pertanto rigetta il ricorso.

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