3° Contenuto Riservato: Contributi in conto impianti ai professionisti: il trattamento post-riforma

COMMENTO

DI SANDRA PENNACINI | 11 NOVEMBRE 2025

L’introduzione del principio di onnicomprensività nei criteri di determinazione del reddito di lavoro autonomo, a opera del D.Lgs. n. 192/2024, impone di riesaminare il trattamento dei contributi in conto impianti. L’Agenzia delle Entrate chiarisce che la natura di tali somme resta quella di una riduzione di costo del bene strumentale, in analogia con quanto previsto per le imprese, ed indaga il particolare caso di contributo percepito in un anno successivo a quello di acquisto.

Premessa

La riforma dei redditi di lavoro autonomo, attuata dall’art. 5 del D.Lgs. 13 dicembre 2024, n. 192, ha integralmente riscritto l’art. 54 del TUIR. A partire dal periodo d’imposta 2024, la determinazione del reddito professionale segue il cosiddetto principio di onnicomprensività, pur lasciando immutato il cardine del criterio di determinazione del reddito, ovvero il principio di cassa.

Il nuovo comma 1 dell’art. 54 TUIR stabilisce, infatti, che il reddito “è costituito dalla differenza tra tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta in relazione all’attività artistica o professionale e l’ammontare delle spese sostenute nel periodo stesso”.

L’introduzione di questo principio ha sollevato dubbi interpretativi sulla corretta qualificazione di alcune poste reddituali precedentemente non disciplinate in modo esplicito, come i contributi in conto impianti.

Prima della riforma, la prassi (risoluzione AdE n. 163/E/2001) aveva escluso che tali contributi potessero configurarsi come compensi, data la tassativa formulazione del vecchio art. 54 TUIR, prevedendo che “Devono ritenersi […] esclusi dalla formazione del reddito di lavoro autonomo gli altri proventi diversi dai compensi come le plusvalenze patrimoniali e le sopravvenienze. La non tassabilità dei proventi diversi dai compensi deriva dalla formulazione dell’articolo 50 che, riferendosi ai compensi percepiti nell’esercizio dell’arte o della professione, sembra escludere la possibilità di comprendere le componenti straordinarie di reddito”.

Con la riscrittura dell’art. 54 (e seguenti) del TUIR, ed il cambio di approccio, tali contributi divengono invece rilevanti, come nel seguito meglio chiarito.

Professionisti e contributi in conto impianti post-riforma redditi di lavoro autonomo

La questione oggetto del presente approfondimento trae spunto dal quesito posto da un professionista all’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale della Puglia, che con la Risposta ad interpello n. 956-1104/2025, analizza un caso emblematico e ricco di sfaccettature.

Il caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia è quello di un professionista che ha acquistato attrezzature strumentali nel 2022, iniziando regolarmente a dedurre le quote di ammortamento (secondo i coefficienti ministeriali) a partire da tale anno. Contestualmente era stato richiesto un contributo in conto impianti per il tramite della partecipazione ad un bando regionale, in un momento storico nel quale tali contributi erano fiscalmente irrilevanti
A complicare ulteriormente il quadro, la circostanza che il contributo in conto impianti sia stato materialmente riconosciuto ed erogato solo nel 2025, quindi in un’annualità cui si applicano già le disposizioni del TUIR così come riformulate dal D.Lgs. n. 192/2024.

Il dubbio del professionista era duplice: se, per effetto del nuovo principio di onnicomprensività e del criterio di cassa, il contributo dovesse essere tassato integralmente come compenso nel 2025 e se, in alternativa, fosse possibile applicare un trattamento analogo a quello previsto per le imprese, considerando la natura del contributo e tassando come sopravvenienza attiva solo la quota parte riferita agli ammortamenti già dedotti.

La soluzione dell’Agenzia: la sopravvenienza da ricalcolo degli ammortamenti

Nella sua Risposta, l’Agenzia delle Entrate non sconfessa il proprio precedente orientamento, già espresso nella citata risoluzione n. 163/E/2001, ma lo adatta al nuovo contesto normativo, fornendo indicazioni condivisibili, utili non solo alla soluzione del caso specifico, bensì di portata generale.

La prima osservazione, assolutamente condivisibile, è che (riforma o meno) il contributo non assume comunque natura di compenso, bensì mantiene la natura di somma volta a ridurre l’onere sostenuto per l’acquisizione del bene strumentale.

Sotto il profilo degli ammortamenti, resta valido il principio (già applicabile alle imprese) secondo cui il costo fiscalmente rilevante del bene strumentale è pari al costo di acquisto “effettivamente sostenuto” e, quindi, calcolato al netto del contributo ricevuto.

Pertanto, per regola generale, le quote di ammortamento deducibili, disciplinate dal nuovo art. 54-quinquies del TUIR, devono essere calcolatesu questo valore ridotto.

La rilevanza del momento dell’incasso

Quanto alla rilevanza del momento dell’incasso del contributo, se il contributo fosse stato percepito nello stesso anno di acquisto del bene (es. acquisto e contributo nel 2025), la soluzione sarebbe stata semplice: il costo di acquisto da iscrivere nel registro dei beni ammortizzabili sarebbe stato direttamente quello al netto del contributo stesso.

Nel caso specifico, tuttavia, è presente una peculiarità: il contributo è stato percepito in un anno successivo (2025) rispetto a quello di sostenimento delle spese (2022) e nel 2025 occorre confrontarsi con il nuovo principio di onnicomprensività.

Tale principio, come si è detto, non trasforma comunque la natura del contributo in compenso, ma – come chiarito dalla stessa Agenzia citando la relazione illustrativa alla riforma – serve a dare rilevanza reddituale alle sopravvenienze attive, ovvero a “rettifiche – in aumento o in diminuzione – di componenti positivi e negativi che hanno concorso a formare il reddito di precedenti periodi d’imposta.

La problematica che emerge nella gestione dello sfasamento temporale tra la deduzione delle quote (basate sul costo pieno) e l’incasso del contributo (avvenuto anni dopo) viene quindi risolta dall’Agenzia, nuovamente con approccio condivisibile, tenuto conto della circostanza che il professionista ha di fatto dedotto, negli anni precedenti (2022, 2023 e 2024, nel caso di specie), quote di ammortamento maggiori rispetto a quelle che avrebbe dovuto dedurre se avesse calcolato il costo al netto del contributo fin dall’inizio.

Per sanare questo disallineamento, l’Agenzia impone al contribuente due azioni:

  • nell’anno di incasso (2025) il professionista deve rilevare e assoggettare a tassazione una sopravvenienza attivapari alla differenza complessiva tra le quote di ammortamento già dedotte e quelle che sarebbero state deducibili calcolate sul costo netto;
  • le future quote di ammortamento, invece, dovranno essere calcolate su una base pari al costo di acquisto originariogià ridotto del contributo in conto impianti percepito.

Conclusioni

In conclusione, la riforma intervenuta nei criteri di determinazione dei redditi di lavoro autonomo non altera la natura dei contributi in conto impianti (che restano riduzioni di costo), ma fornisce lo strumento normativo (l’onnicomprensività e la rilevanza delle sopravvenienze) per gestire correttamente, e tassare, il recupero dei maggiori costi dedotti in passato qualora il contributo venga incassato in un momento successivo.

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