EVOLUZIONE/NOVITÀ
DI GIANLUCA GIROMINI | 18 NOVEMBRE 2025
Il comportamento dei consumatori è profondamente cambiato: nella fase di ricerca e valutazione delle alternative, recensioni, video e social proof sono diventati elementi centrali per ridurre l’incertezza, soprattutto per prodotti costosi o percepiti come rischiosi. Lo dimostrano dati significativi: la quasi totalità degli utenti consulta recensioni online, una larga maggioranza utilizza YouTube per orientarsi negli acquisti e i social influenzano in modo decisivo le scelte della Gen Z. Questo stesso paradigma si riflette oggi anche nella ricerca di lavoro: i candidati, specie quelli più qualificati, analizzano attentamente la presenza digitale di un’azienda prima di candidarsi, valutandone sito, social, recensioni e commenti dei dipendenti. Nell’era della reputazione digitale, non è solo il candidato ad essere valutato: anche l’azienda ha un “curriculum online”, sempre più monitorato e misurato dall’intelligenza artificiale, che può persino anticipare segnali di criticità.
Premessa
Quando iniziate a nutrire interesse per l’acquisto di un nuovo prodotto, magari relativamente costoso oppure con funzionalità innovative, cosa fate? Rispetto a vent’anni fa è cambiato ciò che avviene durante la fase di “ricerca d’informazioni” e “valutazione delle alternative”: oggi i consumatori si affidano massicciamente a valutazioni esterne (recensioni, video, social proof) per mitigare l’incertezza, specialmente per prodotti costosi o percepiti a rischio elevato. Per capirci, vi cito alcuni trend chiave: il 93% dei consumatori dichiara di leggere le recensioni online come parte del processo decisionale, l’82% dichiara di guardare recensioni prima di fare un acquisto, il 68 % degli utenti YouTube lo utilizza per decidere un acquisto, l’85% dei consumatori della Gen Z, tanto per inserire anche un parametro generazionale, dichiara che i social influenzano le decisioni d’acquisto.
Quindi perché mai la scelta di un nuovo lavoro dovrebbe discostarsi da quelli che sono gli standard odierni?
Un tempo, per attrarre i migliori candidati, bastava pubblicare un annuncio ben scritto. Oggi no. Prima di candidarsi, ogni lavoratore, soprattutto i più qualificati, compie un gesto quasi automatico: cerca l’azienda su Google. Esplora il sito, scorre i post su LinkedIn, guarda se esistono recensioni su Glassdoor o Indeed, controlla i commenti dei dipendenti e, magari, osserva la pagina Instagram per capire se l’ambiente di lavoro è davvero come viene descritto.
Benvenuti nell’era della reputazione digitale, dove il vero curriculum non è più solo quello del candidato, ma anche quello dell’azienda. E dove l’intelligenza artificiale non solo osserva, ma misura, confronta, suggerisce e, a volte, avverte in anticipo che qualcosa non va.
Ma che cos’è la web reputation
Volendo fare un paragone matematico è la somma dei contenuti diffusi, delle recensioni che si riceve, dei commenti che genera. Questa somma costruisce, giorno dopo giorno, la web reputation.
Ma andiamo più in profondità: non è solo ciò che un’azienda dice di sé, ma tutto ciò che gli altri dicono di lei, gli articoli che la citano (positivamente o negativamente), i post di dipendenti o ex dipendenti, le recensioni, le notizie giornalistiche, le immagini, i video, le conversazioni sui social, tutto confluisce nel “profilo reputazionale” del brand.
Pensate che la reputazione digitale sia solo su internet, che non sia reale, che non influenzi la vita di tutti i giorni?
Famosa rimane la tempesta di fango che raggiunse la catena Domino’s. Nell’aprile 2009, un dipendente di una pizzeria Domino’s fu ripreso da un collega in una serie di video in cui mostrava comportamenti disgustosi nella preparazione degli alimenti: inseriva ingredienti non igienici, toccava cibi con mani contaminate, utilizzava il corpo in modi inappropriati vicino agli ingredienti. I video furono pubblicati su YouTube, generarono milioni di visualizzazioni in pochi giorni e presto furono rilanciati da blog, media nazionali, forum e social network. Il danno reputazionale fu enorme, con consumatori scandalizzati, clienti che annullavano ordini, stampa che ne parlava, autorità sanitarie che intervenivano. Domino’s rischiò il fallimento e dovette intervenire con massicce e costose campagne pubblicitarie.
E nel mondo del lavoro cosa succede?
Anche in questo caso vorrei partire da un caso realmente accaduto ad una società assistita dal nostro studio. Avendo rinnovato ed informatizzato la logistica, la società si era messa alla ricerca di un giovane da formare per la nuova posizione lavorativa di addetto alla logistica. L’idea, assolutamente sensata, era di evitare di assumere magazzinieri formati, e magari con RAL elevate, poiché la nuova procedura era talmente innovativa che nessuno possedeva quelle competenze. Quindi decise di pubblicare un post di ricerca sui social. Quello che successe su Facebook fu inatteso e, in qualche modo, inquietante. Partì una sequela di commenti critici perché nella ricerca era specificato che si cercava personale di giovane età fino ad arrivare alla richiesta di boicottare l’azienda. Forse l’annuncio si sarebbe potuto scrivere meglio? Sì, sicuramente (per questo vi rimando al mio articolo dal titolo “Assumere con l’IA: come trasformare selezione e colloqui in un processo intelligente”), ma, in ogni caso, la conseguenza fu che l’annuncio rimase totalmente ignorato. Non solo ma la società perse l’occasione di dare di sé la giusta immagine di una realtà innovativa e dinamica.
Insomma, la web reputation è una somma che parla di noi e che i candidati sanno ascoltare benissimo. Un post su LinkedIn scritto male, un commento infelice su un gruppo Facebook o la mancanza totale di una presenza digitale coerente possono compromettere la capacità di attrarre nuove risorse.
È curioso pensare che molti imprenditori continuino a investire in recruiting, ma non si accorgono che la prima selezione avviene dall’altra parte. Oggi sono i candidati a scegliere se valga la pena candidarsi, e spesso la risposta si trova in una semplice ricerca online.
Tante facce della stessa medaglia
Fino ad ora abbiamo trattato l’argomento come un monolite: “La” web reputation, ma siamo sicuri che il termine non sia da valutare al plurale o, meglio, che non sia da spacchettare in sottoinsiemi a cui attribuire una diversa importanza in base alle politiche aziendali?
Il primo sottoinsieme, il più ovvio, riguarda la reputazione istituzionale, ossia la solidità che viene trasmessa dall’azienda sul web. E qui trattiamo di storia, presenza sul mercato e tenuta economica. In questo caso il sito curato e coerente e la presenza qualificata sui social idonei sono lo strumento più adeguato.
Più o meno legata alla prima troviamo la reputazione del prodotto. Spesso diamo per scontato che un’azienda solida produca beni o servizi di qualità, ma così non è. Sicuramente le due reputazioni sono strettamente legate e destinate a uniformarsi con il tempo, ma nel breve periodo non è così scontato. Pensate ad un produttore di auto prestigioso e solido che sbaglia un modello, per affidabilità o semplicemente per estetica. L’intervento reputazionale non sarà sul brand, che per un buon lasso di tempo resterà percepito come prestigioso, ma sullo specifico prodotto.
Poi possiamo parlare della reputazione relazionale, sia interna, nei confronti dei dipendenti, che esterna, nei confronti dei clienti/fornitori. In questo caso il peso maggiore riguarderà le interazioni sui social, le risposte alle critiche e più in generale, come l’organismo azienda viene giudicato come comunicatore.
In ultimo, non possiamo dimenticare la reputazione sociale … quella del politicamente corretto. Sembra una questione di poco conto, ma così non è. Basta stare alla larga da certi argomenti divisi per stare al sicuro. Sicuri? Qualche mese fa negli Stati Uniti è iniziata una polemica attorno alla nuova campagna pubblicitaria dell’azienda di abbigliamento American Eagle con l’attrice Sydney Sweeney. La pubblicità è stata additata come razzista, sessista e di stampo patriarcale. Oggettivamente, che un produttore di moda utilizzi personaggi famosi e di bell’aspetto per promuovere dei jeans non dovrebbe creare un clamore social così ampio. Ma tant’è. Forse il messaggio potrebbe essere in qualche modo equivoco? A voi il giudizio. Quindi, per quanto se ne voglia prendere le distanze, ci si dovrà confrontare anche con questo sottoinsieme.
Come valutare la web reputation
Se fino a qui ne abbiamo esaltato l’importanza, meno intuitivo risulta come valutarla e come governarla (sempre che si possa). Iniziamo dalla valutazione. Quali fonti dobbiamo prendere in considerazione? La risposta è semplice ed allo stesso tempo utopistica: ovunque risultiamo presenti nel mondo digitale e ovunque si parli di noi. Ed è proprio questo uno scenario in cui il nostro assistente IA può dare il suo meglio: recuperare migliaia di informazioni disperse nell’oceano di internet e fornirci una sintesi adeguata.
Un primo esempio di prompt potrebbe essere:
Analizza la web reputation dell’azienda [inserisci nome]scandagliando il web e considerando anche recensioni e social. Suddividi l’analisi in aree tematiche, spiegando per ciascuna come viene percepita l’azienda online, quali elementi la influenzano positivamente o negativamente, e su quali canali digitali emergono le opinioni principali.
Le aree da considerare sono:
Immagine istituzionale (solidità, credibilità, presenza)
Immagine dei prodotti o servizi
Relazioni con il pubblico e i dipendenti
Immagine sociale (impegno sociale e temi)
Per ciascuna area, indica:
l un giudizio sintetico (es. positivo, neutro, negativo);
l i punti di forza;
l le criticità o rischi reputazionali;
l e, se possibile, alcuni esempi o segnali tratti dai canali digitali (siti, social, recensioni, articoli, ecc.).
Fatta una prima disamina possiamo anche approfondire l’analisi in base a quello che è il nostro obiettivo a breve termine, come ad esempio, il recruiting. Proseguendo nella stessa chat, richiediamo quindi:
Concentra l’analisi sulla dimensione recruiting:
• come l’azienda appare agli occhi di un potenziale candidato;
• credibilità dell’employer branding;
• coerenza tra ciò che l’azienda dichiara (valori, ambiente, crescita) e ciò che il web racconta realmente;
• impatto delle recensioni negative/positive sulla propensione a candidarsi;
• punti reputazionali che ostacolano il recruiting;
• aspetti che attirano i talenti high-skill o junior.
E adesso, che si fa?
Prima di tutto, è necessario fare una conta delle energie, del tempo e degli sforzi che intendiamo mettere in campo: sicuramente gli spunti di miglioramento che avremo a disposizione saranno innumerevoli e pensare di ottimizzare la nostra reputazione online in un giorno sembra inverosimile. Ma, come sempre, il nostro fidato chat bot potrà darci una mano fondamentale. Proviamo a ipotizzare un prompt piuttosto complesso ma che possa guidarci verso una transizione ragionata e possibile:
Voglio una valutazione completa e operativa della web reputation della mia azienda, finalizzata a migliorare l’immagine come datore di lavoro e sostenere i processi di recruiting.
Ti chiedo di procedere in 3 fasi distinte.
FASE 1 — Analisi approfondita della web reputation (CERCA NEL WEB TUTTE LE FONTI POSSIBILI)
Esegui una ricerca autonoma scandagliando:
• sito aziendale e relative pagine (chi siamo, lavora con noi, news)
• pagina LinkedIn aziendale (post, commenti, engagement)
• recensioni Google My Business
• recensioni su Indeed, Glassdoor e portali simili
• social pubblici (LinkedIn, Facebook, Instagram, TikTok)
• eventuali articoli di stampa, blog di settore, forum, community professionali
• risultati Google rilevanti degli ultimi 24 mesi
Per ogni fonte reperita:
• estrai i temi ricorrenti (positivi, neutri, negativi)
• valuta il sentiment complessivo
• identifica criticità reputazionali che possono impattare sul recruiting
• individua i punti di forza percepiti dal mercato del lavoro
• recupera indicatori numerici (volume menzioni, rating medio, keyword associate)
Concludi questa fase con una sintesi tecnica e oggettiva della reputazione online.
FASE 2 — Raccolta informazioni sull’azienda (FAMMI DOMANDE MIRATE)
Prima di formulare proposte operative, fammi 5–7 domande necessarie per capire quali energie, risorse e vincoli ha l’azienda, ad esempio:
• budget disponibile (basso/medio/alto)
• tempo e competenze interne per creare contenuti
• disponibilità di testimonial o casi interni da valorizzare
• sensibilità della direzione verso employer branding e comunicazione
• eventuali vincoli di settore o limiti organizzativi
Attendi le mie risposte e integrale nell’analisi.
FASE 3 — Piano operativo di intervento (ORDINATO PER PRIORITÀ)
Sulla base:
• della web reputation analizzata
• delle risorse disponibili
• del livello di criticità riscontrato
Elabora un piano di intervento strategico e praticabile, suddiviso in:
A. PRIORITÀ ALTA (da attuare subito)
• interventi urgenti per correggere criticità reputazionali
• migliorie con impatto immediato sull’immagine come datore di lavoro
• azioni a costo basso/medio che migliorano subito la percezione
B. PRIORITÀ MEDIA (da attuare nei prossimi 60–120 giorni)
• campagne editoriali programmate
• miglioramenti strutturali ai contenuti del sito
• iniziative di comunicazione interna rilevanti per il clima aziendale
C. PRIORITÀ BASSA (da pianificare a lungo termine)
• investimenti strutturali in employer branding
• programmi di engagement dei dipendenti
• revisione cultura/valori/processi se necessario
Per ogni intervento indica:
• obiettivo
• motivazione (basata sui dati della reputazione)
• costo stimato (basso/medio/alto)
• competenze richieste
• impatto previsto sul recruiting
• indicatori di monitoraggio (KPI)
Chiudi con una roadmap semestrale e 3 prompt che posso usare per monitorare la reputazione ogni mese.
DEFCOM1!!!
Ci siamo, qualcosa è andato storto ed il monitoraggio mensile restituisce indici di crisi ormai imminente o conclamata. Cosa facciamo? Facciamoci trovare pronti! Prepariamo una worst-case scenario strategy ben organizzata e con incarichi precisi … il tempismo è tutto.
E chi meglio della nostra IA può aiutarci:
Hai già analizzato la mia web reputation e hai identificato una potenziale o effettiva crisi reputazionale digitale.
Sulla base dei risultati che hai già prodotto, ti chiedo ora di redigere un PIANO DI CRISI REPUTAZIONALE DIGITALE completo, strutturato e immediatamente applicabile.
Il piano deve essere realistico, operativo e coerente con la gravità delle criticità che hai evidenziato.
Struttura obbligatoria del documento:
1. Diagnosi della crisi
• Sintesi tecnica dei problemi riscontrati
• Origine probabile (es. recensioni negative, ex dipendente, criticità operative, post virale, articoli, attacchi coordinati)
• Livello di gravità (basso/medio/alto)
• Rischi potenziali per recruiting, clienti e reputazione aziendale
2. Attivazione della crisi
• indicatori che confermano l’avvio della crisi
• priorità immediate da attuare nelle prime 24 ore
3. Crisis Team
• definisci ruoli e responsabilità operative
• indica quali figure aziendali devono essere coinvolte e perché
4. Piano operativo della crisi
Suddividi le azioni in quattro fasi:
FASE 1 — Contenimento immediato (prime 6 ore)
• blocco pubblicazioni
• raccolta dati
• prime verifiche
• gestione risposte urgenti
FASE 2 — Comunicazione pubblica (entro 24 ore)
• messaggi pre-approvati
• tono da utilizzare
• canali su cui rispondere e come
FASE 3 — Verifica interna (48 ore)
• analisi dei fatti
• indagine HR/operativa
• valutazione violazioni o comportamenti critici
FASE 4 — Azioni correttive (entro 7 giorni)
• azioni operative
• azioni di comunicazione
• interventi su portali (Google, Indeed, Glassdoor…)
5. Strategia di ricostruzione reputazionale (30–90 giorni)
• nuovo piano editoriale
• iniziative HR / employer branding
• contenuti trasparenti per ripristinare fiducia
• iniziative verso dipendenti e stakeholder
Il piano deve essere chiaro, concreto, professionale e proporzionato alle criticità emerse nella tua analisi precedente.
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