4° Contenuto Riservato: Rassegna di giurisprudenza 21 novembre 2025, n. 778

RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA

A CURA DI FABIO PACE | 21 NOVEMBRE 2025

ACCERTAMENTO

Presunzioni

Anomalie nella gestione di un ristorante – Cass., Sez. trib., Ord. 27 ottobre 2025, n. 28507

Nell’accertamento analitico-induttivo dei maggiori ricavi di un ristorante, l’Agenzia evidenzia alcune anomalie, tra cui acquisti di materie prime e alimenti e consumo di tovaglioli incoerenti rispetto ai coperti.
In tema di prova per presunzioni, il giudice deve valutare analiticamente gli elementi indiziari, per scartare quelli privi di rilevanza e conservare quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria e valutare complessivamente tutti gli elementi presuntivi isolati, per accertare se siano concordanti e se la loro combinazione fornisca una valida prova presuntiva, magari non raggiunta con certezza considerandoli atomisticamente, con conseguente censurabilità in cassazione della decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio, senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi (Cass. ord. 27 marzo 2025, n. 8115; ord. 12 aprile 2018, n. 9059).
Il giudice deve, ex art. 2729 c.c., ammettere solo presunzioni gravi, precise e concordanti, laddove il requisito della precisione è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della gravità al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della concordanza, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (cd. convergenza del molteplice), non raggiungibile attraverso una loro analisi atomistica (Cass. ord. 21 marzo 2022, n. 9054; Cass. ord. 4 maggio 2022, n. 14151).

AGEVOLAZIONI

Detassazione degli investimenti

Collocazione temporale dell’investimento per fruire del beneficio – Cass., Sez. trib., Ord. 11 novembre 2025, n. 29774

L’Agenzia, osservando che la detassazione dal reddito d’impresa avente a oggetto il 50% del valore degli investimenti in nuovi macchinari è vincolata al rispetto del periodo di ultimazione, rileva che, per collocare temporalmente gli investimenti effettuati, occorre riferirsi al momento in cui le prestazioni sono ultimate.
L’agevolazione fiscale prevista dall’art. 5, comma 1, del D.L. n. 78/2009 (cd. Tremonti ter) in relazione agli investimenti fatti a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto e fino al 30 giugno 2010 postula che, entro tale data, il contribuente abbia effettivamente sostenuto il costo relativo agli investimenti stessi; in tal senso, occorre avere riguardo alle norme generali sui componenti del reddito d’impresa di cui all’art. 109 del TUIR e, in particolare, alla regola dettata, in relazione alle prestazioni di servizi, dal comma 2, lett. b).
E’ necessario che gli investimenti siano stati effettuati in beni strumentali all’esercizio dell’attività d’impresa, ciò che si ricava dal riferimento testuale agli investimenti “fatti” dall’impresa stessa. In base a un’interpretazione logica e teleologica della norma in parola, l’agevolazione deve essere correlata a un costo effettivamente rimasto a carico del contribuente, in quanto, se non correlato, verrebbe meno la funzione stessa dell’agevolazione (Cass. sent. 4 gennaio 2022, n. 8).
Per collocare temporalmente l’investimento, si deve avere riguardo al momento in cui il costo è effettivamente rimasto a carico del contribuente. La nozione di “investimento” è ricostruita in termini sinonimici a quella di “costo” (Cass. ord. 18 luglio 2025, n. 20099; Cass. ord. 16 aprile 2025, n. 9918). Occorre fare riferimento all’art. 109 del TUIR, che tratteggia una disciplina fiscale di carattere generale in punto alle componenti del reddito d’impresa; tale norma funge da termine di riferimento perché l’imputazione sia correttamente collocata sotto il profilo temporale.

Prima casa

Obbligo di residenza correlato al Comune e non all’immobile anche per valutare la forza maggiore – Cass., Sez. trib., Ord. 3 novembre 2025, n. 29069

L’Agenzia contesta il rilievo riconosciuto alla sospensione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile disposta dalla Soprintendenza, quale causa esimente del mancato trasferimento della residenza entro 18 mesi.
L’agevolazione per l’acquisto della prima casa (art. 1, comma 1, e nota II-bis, della Tariffa, p. I, allegata al TUR), è subordinata all’acquisto di una casa di abitazione e postula che l’acquirente abbia la residenza anagrafica (o presti attività lavorativa) nel Comune in cui è ubicato l’immobile o che si impegni, in seno all’atto d’acquisto (art. 3, comma 131, della legge n. 549/1995), a stabilirla in tale Comune entro 18 mesi.
Il mancato stabilimento – nel termine di legge – della residenza nel Comune ove è ubicato l’immobile acquistato con l’agevolazione prima casa non comporta la decadenza dall’agevolazione, qualora l’evento impeditivo sia dovuto a una causa di forza maggiore sopraggiunta in un momento successivo rispetto a quello di stipula dell’atto di acquisto dell’immobile. Deve trattarsi di un evento caratterizzato dalla non imputabilità alla parte obbligata, dall’inevitabilità e dall’imprevedibilità (Sez. Un., sent. 23 aprile 2020, n. 8094; Cass. ord. 12 maggio 2021, n. 12466; Cass. ord. 13 febbraio 2025, n. 3701).
Tuttavia, ai fini dell’apprezzamento della forza maggiore, deve aversi riguardo al trasferimento della residenza nel Comune ove è sito l’immobile acquistato, ma non necessariamente in quella unità immobiliare, perché condizione necessaria e sufficiente per adempiere all’obbligo di legge è che il contribuente trasferisca la residenza nel Comune di ubicazione dell’immobile acquistato.
La sopravvenuta sospensione dei lavori di ristrutturazione dell’immobile disposta dalla Soprintendenza ai beni ambientali e archeologici, a causa del rinvenimento di reperti impeditivo della prosecuzione dei lavori, non integra la forza maggiore, in quanto la sorpresa archeologica non impedisce al contribuente di trasferire la residenza nel Comune, sicché difettano i presupposti della forza maggiore.

CONDONI

Definizione dei carichi di ruolo pregressi

Rottamazione quater: perfezionamento ai fini dell’estinzione della lite – Cass., Sez. trib., Ord. 7 novembre 2025, n. 29574

Il contribuente ha dichiarato di rinunciare al ricorso, in ragione dell’adesione alla rottamazione-quater per il pagamento del debito residuo collegato all’avviso di accertamento oggetto di giudizio. L’Agenzia delle entrate ha comunicato l’accettazione della domanda di adesione e l’ammontare da pagare in 18 rate.
Poiché il contribuente ha dimostrato di avere pagato tutte le rate previste dal piano e la rinuncia è stata regolarmente comunicata all’A.F. e alla Procura Generale presso la Cassazione, va dichiarata l’estinzione del giudizio di legittimità, posto che l’art. 12-bis del D.L. n. 84/2025 ha previsto che il secondo periodo del comma 236 dell’art. 1 della legge n. 197/2022, si interpreta nel senso che, ai soli fini dell’estinzione, il perfezionamento della definizione si realizza con il versamento della prima o unica rata delle somme dovute e l’estinzione è dichiarata dal giudice d’ufficio dietro presentazione, da parte del debitore o dell’Agenzia delle entrate-Riscossione che sia parte nel giudizio o, in sua assenza, da parte dell’ente impositore, della dichiarazione di adesione alla definizione agevolata, della comunicazione dell’esito alla domanda dell’Agenzia e della documentazione attestante il versamento della prima o unica rata.
Nella rottamazione quater, il comma 236 dell’art. 1 della legge n. 197/2022 prevede una fattispecie di estinzione del processo che non postula il pagamento di tutto il dovuto in ragione del piano rateale concordato, presupponendo ex lege solo il perfezionamento della procedura amministrativa di rottamazione – in virtù della dichiarazione di volersi avvalere della procedura rinunciando ai giudizi in corso, seguita dalla comunicazione dell’Agenzia su numero, ammontare delle rate e relative scadenze – e il riscontro documentale dei soli pagamenti già effettuati con riferimento alla definizione scelta (Cass. 11 settembre 2024, n. 24428).

IMMOBILI

Locazione

Contratto ad uso foresteria e cedolare secca – Cass., Sez. trib., Ord. 13 novembre 2025, n. 30016

Si chiede se la cedolare secca è applicabile a contratti di locazione stipulati da un’Università, che destina gli immobili ad abitazione e alloggio temporaneo di soggetti a lei legati da rapporto di lavoro e/o collaborazione.
Secondo alcune pronunce, il locatore può optare per la cedolare secca anche quando il conduttore conclude il contratto di locazione ad uso abitativo nell’esercizio della sua attività professionale, dato che l’esclusione di cui all’art. 3, comma 6, del D.Lgs. n. 23/2011, si riferisce solo alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate dal locatore nell’esercizio di un’attività d’impresa o di arti e professioni (Cass. sent. 7 maggio 2024, n. 12395; Cass. sent. 7 maggio 2025, n. 12076 e n. 12079). Tuttavia, si dubita di tale soluzione, dato che il contratto ad uso foresteria non è una locazione abitativa, né primaria né transitoria, in quanto non è diretta a soddisfare alcuna esigenza abitativa del conduttore, ma la diversa esigenza di destinare l’immobile locato a temporaneo alloggio di propri dipendenti od ospiti (Cass, Sez. I, 10 febbraio 2014, n. 2964).
Desta perplessità nelle ipotesi in esame il richiamo al principio dell’interpretazione letterale della norma tributaria, perché fondato solo sulla lettura del comma 1 della disposizione e con riferimento alla scelta esclusiva del locatore circa il regime fiscale della cedolare secca, rilievo di per sé ineccepibile per dettato normativo, ma che delinea solo l’innesco operativo dell’agevolazione, senza esaurirne le condizioni, tra le quali va annoverata la circostanza che il contratto di locazione sia da considerare tale in senso proprio e non sia concluso, da ambo le parti, nell’esercizio di un’attività di impresa, arte o professione.
Si dubita, in definitiva, dell’applicazione del regime della cedolare secca nelle ipotesi di contratto ad uso foresteria, come tale avente natura aziendale, concluso da persona fisica con soggetto che esercita l’attività professionale di università degli studi. E’, dunque, rimessa alle Sezioni Unite la questione dell’applicazione del regime fiscale della cedolare secca, di cui all’art. 3 del D.Lgs. n. 23/2011, al contratto di locazione ad uso foresteria, concluso con un conduttore che eserciti attività di impresa, arte o professione.

IRPEF

Redditi fondiari

Effetti della risoluzione del contratto di locazione – Cass., Sez. trib., Ord. 14 ottobre 2025, n. 27451

L’Agenzia rileva che la risoluzione del contratto di locazione disposta dal Tribunale non ha effetto retroattivo, trattandosi di contratto a esecuzione continuata e periodica, e che, trattandosi di redditi da locazione, essi concorrono a formare il reddito del locatore, indipendentemente dalla loro percezione.
Nella locazione ad uso commerciale, i redditi concorrono a determinare il reddito del locatore, indipendentemente dalla percezione (cfr. art. 26 del TUIR). La C.M. 7 luglio 1999, n. 150, ha precisato che la modifica introdotta dalla legge n. 431/1998 non opera, dovendo in tale caso il canone di locazione essere sempre dichiarato così come risultante dal contratto di locazione, ancorché non percepito, rilevando in tale caso il momento formativo del reddito e non quello percettivo.
La Corte Costituzionale (sent. 26 luglio 2000, n. 362sent. 26 luglio 2000, n. 362) ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della disposizione in esame, affermando che anche per la determinazione del reddito fondiario di immobili ad uso commerciale locati il riferimento al canone di locazione (anziché alla rendita catastale) potrà operare nel tempo solo fino a quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico. Quando, invece, la locazione (rapporto contrattuale) sia cessata, tale riferimento al reddito locativo non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale.
Trattandosi di contratto a esecuzione continuata o periodica, stante il principio della corrispettività a coppie, la risoluzione opera ex nunc, secondo quanto previsto dall’art. 1458, primo comma, c.c.
Ex art. 1458, primo comma, c.c. (dettato in tema di risoluzione per inadempimento, ma applicabile, salva diversa volontà delle parti, alla risoluzione consensuale), nei contratti a esecuzione continuata o periodica l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, così che non viene meno l’obbligo di pagamento del canone di locazione per il periodo, precedente alla risoluzione, nel quale il conduttore ha goduto (o avrebbe potuto godere) della disponibilità dell’immobile locato (Cass. 9 gennaio 2019, n. 348).

PROCESSO TRIBUTARIO

Contributo unificato

Cassazione senza rinvio: raddoppio applicabile – Cass., Sez. trib., Sent. 16 novembre 2025, n. 30202

Si chiede se il raddoppio del CUT si applichi nella cassazione senza rinvio ex art. 382, terzo comma, c.p.c.
Il raddoppio del contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, si applica anche in caso di cassazione senza rinvio ex art. 382, terzo comma, c.p.c., in esito a ricorso proposto dalla parte privata, perché la causa non poteva essere proposta, dal momento che la sentenza impugnata viene meno, ma solo perché il ricorrente introduttivo ha avuto doppiamente torto e l’intero giudizio si è rivelato del tutto superfluo.
E’ corretto allocare il costo del processo in capo a chi lo abbia cagionato, tenendo presente che sono due piani distinti la doverosità del contributo unificato (e il suo raddoppio), e la soccombenza, la quale è il criterio che di norma regola la distribuzione delle spese processuali. È solo l’esito integralmente negativo del giudizio di impugnazione che giustifica il maggior costo del servizio imposto al richiedente, il quale ha vanamente sollecitato il riesame di una decisione meritevole di passare in giudicato e ha fatto svolgere un ulteriore grado di giudizio rivelatosi superfluo. Per contra, l’accoglimento del gravame giustifica il trattamento tributario agevolato in favore di chi abbia avuto bisogno dell’ulteriore prestazione del servizio di giustizia per sovvertire la decisione ingiusta maturata nel grado precedente (Cass., S.U., sent. 17 luglio 2023, n. 20621).
Il raddoppio del contributo unificato si applica anche nella fattispecie dell’annullamento della sentenza, impugnata dal ricorrente principale, senza rinvio ex art. 382, terzo comma, c.p.c., perché la causa non poteva essere proposta: nel caso in esame ricorre un vizio che inficia i requisiti fondanti il processo; si tratta di violazioni che ridondano nel difetto di potestas iudicandi, minando in radice la validità del rapporto giuridico-processuale, che, quindi, non costituendosi regolarmente, non può concludersi con una valida sentenza (Cass., S.U., sent. 29 agosto 2025, n. 24172). La ratio dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115/2002, esige l’applicazione del raddoppio della tassa, perché la norma è orientata a scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose (Cass. n. 3288 del 2018; n. 13636 del 2015; sent. 15 settembre 2014, n. 19464).

Giudicato

Giudicato esterno efficace nell’accertamento dello stesso tributo per periodi d’imposta diversi – Cass., Sez. trib., Ord. 11 novembre 2025, n. 29773

Si eccepisce un giudicato esterno, conseguente all’accoglimento definitivo dell’impugnazione avverso la prima (e altre) cartelle concernenti gli stessi fatti, differenti solo circa il periodo d’imposta, ma originate tutte dall’unica circostanza della dichiarazione integrativa per l’accesso alla Tremonti Ambiente.
Se due giudizi tra le stesse parti hanno riferimento allo stesso rapporto giuridico, e uno di essi è stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto circa la situazione giuridica o la soluzione di questioni di fatto e di diritto relative a un punto fondamentale comune a entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio ha finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo e il “petitum” del primo (Cass., Sez. U, sent. 16 giugno 2006, n. 13916).
Tale regola non è recessiva rispetto al principio di autonomia dei periodi d’imposta; infatti, anche in caso di situazioni giuridiche di durata, l’oggetto del giudicato è un unico rapporto, e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento e perciò neppure il riferimento al principio dell’autonomia dei periodi d’imposta consente un’ulteriore disamina tra le stesse parti della qualificazione giuridica del rapporto, contenuta in una decisione passata in giudicato (Cass. ord. 24 luglio 2025, n. 21124).
Nella specie, sono stati accertati il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per tutti gli anni d’imposta interessati dalla complessiva pretesa impositiva, riconoscendogli il diritto ai benefici ex art. 6 della legge. n. 388/2000. Tale accertamento, di cui il contribuente ha dimostrato l’intervenuta definitività, fa stato con riferimento alla stessa imposta dovuta per il successivo anno, poiché gli elementi costitutivi della fattispecie sono idonei a estendersi a una pluralità di periodi d’imposta e assumono carattere tendenzialmente permanente. Da ciò deriva l’operatività dell’effetto preclusivo del giudicato.

Incidenti

Redditi di capitale di soci di società a ristretta base sociale – Cass., Sez. trib., Sent. 12 novembre 2025, n. 29900

L’Agenzia contesta l’annullamento di avvisi di accertamento di maggior reddito di capitale nei confronti del socio, disposto in ragione dell’annullamento di quelli nei confronti della società, invece di sospendere i giudizi fino alla definizione con sentenza passata in giudicato della causa pregiudicante sugli avvisi societari.
In tema di accertamento dei redditi di capitale, l’indipendenza dei procedimenti relativi alla società di capitali a ristretta base partecipativa e al singolo socio, data la diversità soggettiva e oggettiva dei relativi rapporti tributari, esclude l’obbligatorietà necessaria della sospensione ex art. 295c.p.c. di quello relativo al socio, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza emessa nei confronti della società, non potendo il socio, terzo rispetto alla società, essere pregiudicato, in violazione del diritto di difesa, da un giudicato che definisca un giudizio al quale non abbia partecipato o non sia stato messo in grado di partecipare; diversamente, la diretta conseguenzialità della determinazione del reddito del socio da quanto accertato in capo alla società, dovuta alla comunanza di presupposti fattuali e, dunque, la relazione in termini di pregiudizialità-tecnica tra i rapporti, comportando l’estensione degli effetti riflessi del giudicato formatosi nel giudizio relativo alla società su quello relativo al socio, si concilia, sul piano processuale, con la sospensione facoltativa, ai sensi dell’art. 337, secondo comma, c.p.c., del giudizio relativo al socio, quando quello pregiudicante relativo alla società sia stato definito con sentenza non passata in giudicato e con la conseguenziale risoluzione dell’eventuale sopravvenuto conflitto tra giudicati ai sensi dell’art. 336, secondo comma, c.p.c.

Parti

Legittimazione a impugnare l’avviso notificato al custode giudiziario – Cass., Sez. trib., Sent. 16 novembre 2025, n. 30202

L’Agenzia eccepisce il difetto di legittimazione in proprio, nonché per conto della s.r.l., dell’amministratore unico della stessa, nonché quale socio al 100% e creditore.
In caso di sequestro preventivo di una parte o della totalità delle partecipazioni di una società a responsabilità limitata, è esclusa la legittimazione diretta del socio a impugnare davanti al giudice tributario l’avviso di accertamento notificato alla società in persona del custode giudiziario, nominato ai sensi degli artt. 321 c.p.p. e 104 disp. att. c.p.p., che sia stato nominato dall’assemblea della società amministratore unico.
La notifica può intervenire nei confronti della società in persona del custode giudiziario delle quote sociali, designato in sede di sequestro preventivo penale, che può assumere, in qualità di rappresentante della proprietà del capitale, la funzione di amministratore. Il custode, assumendo la qualità di amministratore, è legittimato a proporre istanza per la dichiarazione di fallimento in proprio (Cass. n. 12072 del 2014).
Nella specie chi ha proposto il ricorso introduttivo del giudizio in proprio e per conto della società non può essere considerato un soggetto fallito cui è stato notificato l’atto impositivo, sia per lo schermo societario, sia perché nessun fallimento è ancora intervenuto. Non gli può essere riconosciuta la legittimazione straordinaria di cui al principio (Sez. U. 28 aprile 2023, n. 11287) secondo il quale, se una società in liquidazione è stata dichiarata fallita, l’avviso di accertamento notificato in fase di liquidazione antecedente alla declaratoria di fallimento, in ipotesi di inerzia del curatore, è impugnabile dalla società in persona del liquidatore e non del suo precedente legale rappresentante (Cass., Sez. 5, 18 luglio 2023, n. 20913). Tale legittimazione è esclusa perché non si può parlare di inerzia e perché – pur potendosi astrattamente ammettere la legittimazione del legale rappresentante in caso di nomina di custode giudiziale – quest’ultimo aveva assunto anche la veste di amministratore (Cass. ord. 2 giugno 2025, n. 14795).

SANZIONI

Cause di non punibilità

Omessa dichiarazione: la latitanza e la detenzione non configurano forza maggiore – Cass., Sez. trib., Ord. 27 ottobre 2025, n. 28509

In un caso di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, l’Agenzia reputa errato ricondurre alla scriminante della forza maggiore lo stato di latitanza prima e di detenzione poi del contribuente.
In materia tributaria e fiscale, la nozione di forza maggiore, quale causa di non punibilità di cui all’art. 6, comma 5, del D.Lgs. n. 472/1997, richiede la sussistenza di un elemento oggettivo, costituito da circostanze anormali ed estranee al contribuente e di un elemento soggettivo, correlato al dovere dello stesso contribuente di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate, pur senza incorrere in sacrifici eccessivi, dovendo la sussistenza di tali elementi essere oggetto di idonea indagine da parte del giudice, sicché non ricorre in via automatica l’esimente in esame nel caso di mancato pagamento dovuto alla temporanea mancanza di liquidità (Cass. ord. 13 dicembre 2021, n. 39548; Cass. n. 22153 del 2017). La forza maggiore è stata ricostruita alla stregua di situazione di impedimento oggettivo caratterizzato dalla non imputabilità (nel senso dell’indipendenza dalla volontà del contribuente), anche a titolo di colpa, inevitabilità e imprevedibilità dell’evento (Cass. ord. 13 febbraio 2025, n. 3699).
Il contribuente, nella specie, per un verso ha scelto la via della latitanza, per altro verso non si è minimamente premunito rispetto all’impatto sulla propria capacità di manovra e rapidità d’azione della detenzione in carcere, che comunque è situazione tutt’altro che estranea e avulsa rispetto al contribuente medesimo.

TRIBUTI LOCALI

ICI/IMU

L’atto di classamento che rettifica la rendita proposta con DOCFA deve essere notificato – Cass., Sez. trib., Ord. 27 ottobre 2025, n. 28447

Si valuta la legittimità dell’annullamento di un avviso di accertamento IMU non preceduto dalla notifica, da parte dell’Agenzia del territorio, dell’atto di rettifica della rendita catastale.
L’art. 74, comma 1, della legge n. 342/2000, nel prevedere che gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo dalla loro notifica, si interpreta nel senso dell’impossibilità di utilizzare una rendita prima della sua notifica, per individuare la base imponibile ICI, ma non ne esclude l’utilizzabilità a fini impositivi, una volta notificata, anche per annualità d’imposta suscettibili di accertamento, liquidazione e/o rimborso (Cass., S.U., 9 febbraio 2011, n. 3160; Cass., S.U., sent. 15 febbraio 2011, n. 3666Cass., Sez. 5, 9 giugno 2017, n. 14402Cass., Sez. 5, 11 maggio 2018, n. 11472Cass., Sez. 5, 11 aprile 2019, n. 10126; Cass., Sez. 6-5, 24 settembre 2020, n. 20126; Cass., Sez. 6-5, 29 settembre 2020, n. 20665; Cass., Sez. 5, 26 gennaio 2021, n. 1571Cass., Sez. 5, 15 marzo 2022, n. 8282Cass., Sez. 5, 2 dicembre 2022, n. 35579Cass., Sez. 5, 2 marzo 2023, n. 6360 Cass., Sez. 5, 2 marzo 2023, n. 6360). Ciò vale anche in riferimento a ipotesi di modifica dell’attribuzione di rendita catastale a seguito di variazione richiesta con procedura DOCFA (Cass. 29 ottobre 2021, n. 30870; Cass. 16 giugno 2021, n. 17002Cass. 11 aprile 2019, n. 10126).
Se il contribuente si è avvalso della procedura DOCFA per l’accatastamento di un immobile, la notifica della rendita catastale utilizzata per determinare l’ICI va effettuata quando il Comune effettua modifiche rispetto alla proposta del contribuente, essendo, invece, superflua, se ratifica la dichiarazione presentata (Cass. 20 giugno 2021, n. 16364; Cass. 20 marzo 2019, n. 7801). Ciò trova conferma nel D.M. 19 aprile 1994 (procedure di aggiornamento degli archivi catastali e delle conservatorie dei registri immobiliari), che all’art. 1, comma 10, precisa che l’Ufficio notifica al contribuente le risultanze della dichiarazione DOCFA solo se ha apportato variazioni a quelle denunciate o proposte dalla parte (Cass. ord. 7 marzo 2023, n. 6841).

TARSU

Strutture commerciali costituite da ipermercato e annesso centro commerciale integrato – Cass., Sez. trib., Ord. 23 ottobre 2025, n. 28178

Si discute dell’assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani nel caso in cui più soggetti gestiscono distinti locali facenti parte di un Centro commerciale. Il Comune non aveva mai svolto il servizio di raccolta rifiuti nell’area commerciale in cui si trovavano i propri locali della contribuente.
Dalla lettura del regolamento comunale si evince come la mancata assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani opera solo in presenza di strutture commerciali caratterizzate dalla compresenza di un ipermercato – con cui si definisce l’attività commerciale della grande distribuzione svolta in un ambito di ampia dimensione – e da un centro commerciale (Cass. sent. 13 aprile 2023, n. 9949). Tale interpretazione è frutto del tenore letterale della norma che definisce le strutture commerciali, identificandole in quelle composte da un ipermercato e annesso centro commerciale integrato, termini che rendono evidente la necessaria compresenza di un ipermercato e di un centro commerciale; differente risulta essere la fattispecie in esame, caratterizzata da un insieme di attività commerciali facenti parte di un unico complesso centro commerciale.

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