CIRCOLARE MONOGRAFICA
Il principio di piena applicazione dell’assicurazione INAIL e gli ampi spazi di manovra lasciati alla gestione degli strumenti per lavorare “da remoto” e alla ripartizione dei relativi oneri economici
DI LORENZO FANTINI | 2 DICEMBRE 2025
L’indubbia utilità del lavoro “agile”, enfatizzata al massimo nel periodo di emergenza pandemica, ha portato ad una diffusione di questa tipologia di lavoro enorme, che pone anche una serie di interrogativi in merito all’adozione ed efficace attuazione delle tutele per i prestatori di lavoro.
La legge di riferimento (n. 81/2017) fornisce le risposte, che vanno, tuttavia, trasformate in procedure di prevenzione e protezione, tramite strumenti adeguati allo scopo. Rileva, al riguardo, già l’accordo di smart working, requisito necessario per la stessa legittimità del lavoro “agile”, ma soprattutto diventa centrale l’informativa sui rischi specifici del lavoro “agile”, prevista dall’articolo 22 della Legge n. 81/2017.
Importante è anche il principio di piena applicazione dell’assicurazione INAIL, ribadito dall’articolo 23 della legge, mentre ampi spazi di manovra sono lasciati dalla normativa obbligatoria in ordine alla gestione delle modalità di utilizzo degli strumenti per lavorare “da remoto” e alla ripartizione dei relativi oneri economici.
Il lavoro “agile”: inquadramento legislativo
In data 13 giugno 2017 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 135 (Serie generale) della Repubblica italiana la Legge 22 maggio 2017, n. 81, recante: “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. Il provvedimento è composto da 26 articoli, con il Capo II che riconosce espressamente e regolamenta lo smart working, definito in italiano come lavoro “agile”.
Tale fattispecie è stata configurata, dagli articoli da 18 a 24 della Legge n. 81/2017, come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, estendibile anche alle pubbliche amministrazioni, fatta salva l’applicazione delle diverse disposizioni specificamente adottate per tali rapporti. Infatti, l’articolo 18 della Legge n. 81/2017 definisce il lavoro agile come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.
Elemento caratterizzante il lavoro agile è, quindi, l’accordo tra le parti, il quale è requisito di validità del lavoro “agile” (essendo stipulato “per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova”, come previsto dall’articolo 19 della legge in commento) e provvede a regolamentare, secondo quanto previsto sempre dall’articolo 19 della Legge n. 81/2017, quanto segue: “…l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore. L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro”.
Rilevanza dell’accordo di smart working a fini prevenzionistici
Dunque, il primo elemento di gestione della prevenzione nel lavoro “agile” è proprio l’accordo tra le parti, nel quale si dovrà aver cura di regolamentare le modalità di svolgimento del lavoro non solo per ragioni legate alla produttività ma anche alla prevenzione di infortuni sul lavoro e malattie professionali, come è evidente dal richiamo ai “tempi di riposo” e, soprattutto, dalla citazione del diritto alla disconnessione del lavoratore, a sua volta richiamato dall’articolo 2 della Legge 6 maggio 2021, n. 61, in sede di conversione del d.l. n. 30/2021; diritto “necessario per tutelare i tempi di riposo e la salute del lavoratore”, il quale: “non può avere ripercussioni sul rapporto di lavoro o sui trattamenti retributivi”.
In concreto, va individuata – nel rispetto della normativa obbligatoria in materia di orario di lavoro (oggi contenuta nel D.Lgs. n. 66/2003) – una fascia oraria (di cui fa normalmente parte la fascia oraria notturna) nella quale è vietato chiedere al lavoratore di svolgere attività lavorative e non è consentito contattare la persona, mentre possono essere inserite disposizioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro, allo scopo di ridurre l’esposizione ai rischi lavorativi; ad esempio, è possibile introdurre la previsione che il lavoro “agile” si debba svolgere solo nell’abitazione del lavoratore o in quella del suo partner o dei suoi familiari oppure in locali dell’azienda diversi dalla sede di lavoro o, ancora, presso gli uffici del cliente, escludendo i luoghi a rischio più elevato (es.: all’aperto) e, comunque, imponendo previsioni specifiche che il lavoratore dovrà rispettare, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 20, comma 2, lettera b), del D.Lgs. n. 81/2008 che, in sede di definizione degli obblighi dei lavoratori, specifica che il lavoratore deve attuare le: “disposizioni e istruzioni” ricevute dall’azienda in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
L’informativa sui rischi del lavoro in smart working
Una volta chiarito che il rapporto di lavoro in oggetto è, quindi, di tipo subordinato, in ordine al lavoro “agile” il Legislatore ha ritenuto di dover disciplinare la salute e sicurezza in una disposizione molto breve, che lascia molti dubbi e non appare chiarissima.
Infatti, l’articolo 22 della legge in commento prevede testualmente quanto segue:
“1. Il datore di lavoro garantisce la salute e la sicurezza del lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile e a tal fine consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro.
2. Il lavoratore è tenuto a cooperare all’attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all’esecuzione della prestazione all’esterno dei locali aziendali”.
L’articolo 18, comma 2, prevede inoltre che il datore di lavoro sia responsabile della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore per lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Dubbi operativi sulla gestione della prevenzione nel lavoro agile
Già all’indomani della sua entrata in vigore, detta previsione ha alimentato molte incertezze interpretative mosse dal presupposto che difficilmente la sola consegna di un’informativa possa essere sufficiente a garantire la salute e la sicurezza del lavoratore, per quella parte di attività che ha luogo fuori dai locali dell’impresa.
Difatti, l’articolo 22 della Legge n. 81/2017, nel sancire l’obbligo datoriale di predisporre l’informativa scritta sui rischi generali e specifici, non ha precisato se tale adempimento sia esaustivo dell’obbligo di prevenzione posto a carico del datore di lavoro. A fronte di tale incertezza, l’alternativa si è posta tra la persistenza in capo al datore di lavoro di tutti gli obblighi previsti per la generalità dei lavoratori dal D.Lgs. n. 81/2008, congiuntamente all’obbligo della predetta informativa, ovvero l’applicazione, al lavoro agile, delle specifiche prescrizioni dettate per il telelavoro ex articolo 3, comma 10, del D.Lgs. n. 81/2008.
Sul punto, la tesi ampiamente maggioritaria propende per il fatto che la disposizione legislativa debba essere correttamente interpretata inquadrandola nell’ambito della disciplina generale degli obblighi di sicurezza dettata dal D.Lgs. n. 81/2008.
Dal punto di vista pratico ciò significa che nella valutazione dei rischi (e nel relativo documento, il DVR) debba essere considerata questa modalità di lavoro, dovendo, di conseguenza, essere indicate le misure di prevenzione e tutela da applicare ai lavoratori “agili”, come richiesto dal D.Lgs. n. 81/2008.
Ad esempio, nell’individuare i contenuti della formazione dei lavoratori, occorrerà comunque aggiungere (ad esempio, nell’ambito delle ore di aggiornamento che ogni 5 anni devono essere seguite dal lavoratore, secondo quanto previsto dall’Accordo Stato-Regioni del 17 aprile 2025, attuale fonte di regolamentazione della formazione obbligatoria per i lavoratori in materia di salute e sicurezza sul lavoro) una parte sui rischi di lavoro in smart working.
L’informativa sui rischi del lavoro “agile”
Resta, tuttavia, chiaro che l’adempimento maggiormente rilevante dal punto di vista prevenzionistico rimane la predisposizione, a cura dell’azienda (e, quindi, innanzitutto sotto la responsabilità del datore di lavoro), dell’informativa sui rischi generali e specifici del lavoro “agile”, che va consegnata “per iscritto” e “almeno una volta l’anno” al lavoratore e al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS).
Istruzioni esemplificative per la definizione dei contenuti minimi dell’informativa nelle amministrazioni pubbliche sono state fornite nel capitolo 6 delle linee guida allegate alla Direttiva n. 3 del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° giugno 2017, recante: “Indirizzi per l’attuazione dei commi 1 e 2, dell’articolo 14, della Legge 7 agosto 2015, n. 124 e linee guida contenenti regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti”, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 165 del 17 luglio 2017, mentre durante il periodo di emergenza pandemica i D.P.C.M. che si sono succeduti – nel prevedere che fosse possibile accedere al lavoro “agile” senza necessità di un accordo scritto tra le parti (per evidenti ragioni di distanziamento sociale e riduzione dei cluster nei luoghi di lavoro) – permettevano di adempiere all’obbligo dell’articolo 22 della Legge n. 81/2017, sia nel settore pubblico che in quello privato, consegnando via e-mail al lavoratore l’informativa predisposta dall’INAIL, resa dall’Istituto disponibile sul proprio sito internet; tale informativa costituisce, peraltro, tuttora una utile indicazione rispetto ai contenuti dell’informativa obbligatoria, che le imprese che intendono utilizzare il lavoro agile debbono ora predisporre necessariamente per proprio conto.
La copertura assicurativa obbligatoria nel lavoro agile: piena completezza
Infine, l’articolo 23 del “Jobs Act del lavoro autonomo” (Legge n. 81/2017 ), al comma 2 , riconosce espressamente che: “Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali”, mentre il successivo comma 3 prevede la “copertura INAIL” anche in caso di infortunio in itinere, anche se solo “quando la scelta del luogo della prestazione sia dettata da esigenze connesse alla prestazione stessa o dalla necessità del lavoratore di conciliare le esigenze di vita con quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza”.
In materia di assicurazione obbligatoria per infortuni sul lavoro va segnalata la modifica di cui all’articolo 24 della Legge 13 dicembre 2024, n. 203 (c.d. Collegato Llavoro) la quale impone ai datori di lavoro di comunicare l’attivazione dello smart working entro 5 giorni dall’inizio della prestazione lavorativa, utilizzando esclusivamente il portale telematico del Ministero del Lavoro, al fine di garantire maggiore trasparenza e tracciabilità delle attività svolte in modalità agile. Il mancato rispetto dell’obbligo di comunicazione comporta sanzioni che vanno da 100 a 500 euro per ogni lavoratore non dichiarato. Per evitare penalità, è fondamentale pianificare internamente le procedure e rispettare la tempistica stabilita, utilizzando SPID o CIE per accedere al portale.
Il lavoro agile è un diritto?
Dal punto di vista generale, lo smart working va considerata una modalità definita convenzionalmente tra il lavoratore e l’azienda, senza che il lavoratore abbia un diritto di ottenere che la sua prestazione si svolga, in tutto o in parte, in modalità “agile”. Tuttavia, questa regola generale ha avuto nel tempo una serie di limitazioni, che alla fine hanno determinato, a seguito della successione di diverse fonti legislative nel tempo (si veda, ad esempio, il comma 486 della Legge n. 145/2018Legge n. 145/2018 (c.d. Legge di Bilancio 2019), la quale ha modificato l’articolo 18della legge n. 81/2017 prevedendo che i datori di lavoro pubblici e privati debbano dare priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate da soggetti che sono stati ritenuti in condizioni tali da avere più difficoltà rispetto agli altri lavoratori a conciliare le esigenze di vita con il lavoro, quali:
- le lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità;
- i lavoratori con figli in condizioni di disabilità.
In seguito a tali innovazioni la attuale disciplina di riferimento è la seguente:
“3-bis. I datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste di esecuzione del rapporto di lavoro in modalità agile formulate dalle lavoratrici e dai lavoratori con figli fino a dodici anni di età o senza alcun limite di età nel caso di figli in condizioni di disabilità ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della Legge 5 febbraio 1992, n. 104. La stessa priorità è riconosciuta da parte del datore di lavoro alle richieste dei lavoratori con disabilità in situazione di gravità accertata ai sensi dell’articolo 4, comma 1, della Legge 5 febbraio 1992, n. 104 o che siano caregivers ai sensi dell’articolo 1, comma 255, della Legge 27 dicembre 2017, n. 205. La lavoratrice o il lavoratore che richiede di fruire del lavoro agile non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro. Qualunque misura adottata in violazione del precedente periodo è da considerarsi ritorsiva o discriminatoria e, pertanto, nulla.
3-ter. Il rifiuto, l’opposizione o l’ostacolo alla fruizione del lavoro agile, secondo quanto disposto dal comma 3-bis, ove rilevati nei due anni antecedenti alla richiesta della certificazione della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198 o di analoghe certificazioni previste dalle regioni e dalle province autonome nei rispettivi ordinamenti, impediscono al datore di lavoro il conseguimento delle stesse certificazioni”.
E’, quindi, chiaro che qualora il lavoratore si trovi in una delle condizioni indicate dalla legge esiste un vero e proprio diritto al lavoro “agile”, con conseguente obbligo dell’impresa di accedere alla richiesta del lavoratore che dimostri di versare in una delle predette condizioni; ne consegue che il mancato rispetto delle previsioni sul diritto al lavoro agile (o, peggio, una condotta contraria agli obblighi antidiscriminatori individuati dalla legge) è da ritenersi censurabile, nella misura indicata dalla legge, anche in relazione alle certificazioni della parità di genere. E, infatti, durante il periodo di emergenza pandemica non sono mancate pronunce a carico di imprese (pubbliche e private) che avevano negato il diritto di lavoratori in determinate condizioni a lavorare in smart working.
Ad esempio, il Tribunale civile di Bologna, sezione lavoro, con Decreto del 23 aprile 2020, ha riconosciuto alla lavoratrice invalida con figlia disabile il diritto a lavorare da casa svolgendo le funzioni di competenza attraverso l’uso del telefono e degli strumenti informatici (quindi, in smart working), al fine di prevenire il potenziale contagio da Coronavirus per sé stessa e per la figlia, qualificando come illegittimo il provvedimento dell’azienda di rifiuto della domanda per accedere allo smart working nonché l’atto di collocamento in cassa integrazione della lavoratrice; analogamente, il Tribunale civile di Grosseto, sezione lavoro, con Ordinanza del 23 aprile 2020 – atteso che ai sensi dell’articolo 39, comma 2, del D.L. n. 18/2020,“ai lavoratori del settore privato affetti da gravi e comprovate patologie con ridotta capacità lavorativa è riconosciuta la priorità nell’accoglimento delle istanze di svolgimento delle prestazioni lavorative in modalità agile ai sensi degli articoli da 18 a 23 della Legge 22 maggio 2017, n. 81” – ha accolto il ricorso del lavoratore disabile al quale (a differenza dei suoi colleghi) non era stato concesso di lavorare in modalità “agile” e che era stato collocato in ferie.
Le modalità di gestione del lavoro agile
Per quanto la regolamentazione legale del lavoro “agile” lasci ampio spazio alle parti per disciplinare, in concreto, le modalità di svolgimento delle prestazioni di lavoro in smart working, va segnalata l’approvazione presso il Ministero del lavoro – in data 7 dicembre 2021 – del Protocollo sul lavoro agile nel settore privato , stipulato dalle parti sociali, in quanto in esso:
- si ribadisce il principio generale per cui l’adesione allo smart working è di tipo volontario e che l’eventuale rifiuto da parte del lavoratore non può comportare conseguenze pregiudizievoli per il lavoratore;
- si puntualizza che il lavoro “agile” è diverso dal telelavoro, che l’accordo deve comprendere il diritto alla disconnessione e che il lavoratore sceglie in autonomia il luogo di lavoro;
- l’articolo 5 del Protocollo (“Strumenti di lavoro”) prevede quanto segue: “1. Fatti salvi diversi accordi, il datore di lavoro, di norma, fornisce la strumentazione tecnologica e informatica necessaria allo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile, al fine di assicurare al lavoratore la disponibilità di strumenti che siano idonei all’esecuzione della prestazione lavorativa e sicuri per l’accesso ai sistemi aziendali. 2. Laddove le parti concordino l’utilizzo di strumenti tecnologici e informatici propri del lavoratore, provvedono a stabilire i criteri e i requisiti minimi di sicurezza da implementare e possono concordare eventuali forme di indennizzo per le spese. 3. Le spese di manutenzione e di sostituzione della strumentazione fornita dal datore di lavoro, necessaria per l’attività prestata dal dipendente in modalità agile, sono a carico del datore di lavoro stesso, che ne resta proprietario”;
- in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l’articolo 6 del Protocollo ribadisce l’applicazione degli articoli 18, 22 e 23 della Legge n. 81/2017, specificando al comma 3 che: “La prestazione effettuata in modalità di lavoro agile deve essere svolta esclusivamente in ambienti idonei, ai sensi della normativa vigente in tema di salute e sicurezza e per ragione dell’esigenza di riservatezza dei dati trattati”.
Riferimenti normativi:
- Legge 22 maggio 2017, n. 81, artt. 18, 22 e 23
- Legge 13 dicembre 2024, n. 203, art. 14
- Presidente del Consiglio dei Ministri, Direttiva 1° giugno 2017, n. 3
- Informativa sui rischi di lavoro in smart working
- Protocollo sul lavoro agile nel settore privato 7 dicembre 2021
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