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CIRCOLARE MONOGRAFICA

Stipula del contratto, valutazione dei rischi e adempimenti gestionali

DI MARIO GALLO | 11 DICEMBRE 2025

La gestione della salute e della sicurezza del personale assunto con contratto di lavoro a tempo determinato pur non richiedendo, almeno in linea di principio, adempimenti dissimili da quelli previsti per i lavoratori a tempo indeterminato richiede, tuttavia, diverse cautele in ordine sia alla valutazione dei rischi che all’attribuzione dei carichi di lavoro, oltre che la sorveglianza sanitaria e la formazione.

Pertanto, un approccio superficiale a tali questioni, da parte del datore di lavoro, dell’ufficio del personale e dei consulenti tecnici, può avere effetti negativi, anche pesanti non solo sul piano strettamente prevenzionale ma anche su quello della riqualificazione del contratto di lavoro, previdenziale e sanzionatorio.

Contratto di lavoro a tempo determinato: divieti di stipula ed effetti

processi di riforma del mercato del lavoro avviati all’inizio degli anni duemila hanno costituito un passaggio epocale che ha prodotto profonde modificazioni del modello di produzione e di organizzazione del lavoro prevalente; si è passati, infatti, da sistemi basati su rapporti essenzialmente stabili a nuove forme flessibili d’impiego le quali, tuttavia, sotto diversi profili mal si conciliano con le esigenze di tutele della salute e della sicurezza sul lavoro.

Si tratta del ben noto fenomeno della “precarietà” che in non pochi casi rende più complessa la valutazione dei rischi oltre che l’adempimento di alcuni obblighi collegati come, ad esempio, la sorveglianza sanitaria e la formazione delle lavoratrici e dei lavoratori.

Per tale ragione, quindi, prima con il D.Lgs. n. 368/2001 e, poi, con il D.Lgs. n. 276/2003 e, da ultimo, con il D.Lgs. n. 81/2015, sono stati postiprecisi vincoli per quanto riguarda l’impiego di lavoratori assunti con contratti di lavoro a termine, in somministrazione e in base a contratti di lavoro intermittente.

L’obiettivo di fondo del legislatore è stato quello di assicurare un grado di più elevata tutela a tali lavoratori che si trovano ad essere esposti a maggiori rischi rispetto ai propri colleghi assunti stabilmente dall’impresa; in particolare, per quanto riguarda specificamente il contratto di lavoro a tempo determinato l’art. 20, c. 1, del D.Lgs. n. 81/2015, prevede espressamente il divieto di stipula nei seguenti casi:

  1. per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  2. presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi a norma degli artt. 4 e 24 della Legge n. 223/1991, che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro a tempo determinato, salvo che il contratto sia concluso per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti, per assumere lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, o abbia una durata iniziale non superiore a 3 mesi;
  3. presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di Cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto a tempo determinato;
  4. da parte di datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Conseguenze dell’inosservanza del divieto di stipula. In caso di violazione dei divieti il contratto si trasforma in contratto a tempo indeterminato (art. 20, c. 2. D.Lgs. n. 81/2015).

Valutazione dei rischi e legittima apposizione del termine

Per poter apporre legittimamente al contratto di lavoro subordinato un termine di durata il datore di lavoro è tenuto, quindi, ad effettuare, in un momento antecedente la stipula del contratto stesso, la valutazione dei rischi e riportati gli esiti e le misure del DVR (artt. 172829 e ss. D.Lgs. n. 81/2008D.Lgs. n.81/2008).

Circa la portata di tale divieto occorre osservare ancora una volta l’approccio molto superficiale del legislatore che non ha meglio specificato a cosa debba riferirsi la valutazione dei rischi; a tal fine si possono identificare essenzialmente due differenti chiavi interpretative. 

Tesi interpretativa n. 1
La prima tesi interpretativa è quella di considerare come sufficiente, ai fini dell’osservanza del citato divieto, la prova da parte del datore di lavoro della mera redazione del documento di valutazione dei rischi e in data anteriore alla stipula del contratto senza però entrare nel merito dei contenuti (art. 28, D.Lgs. n. 81/2008).
Si tratta, quindi, di un orientamento meramente formale, slegato dalla funzione prevenzionale che assolve la valutazione dei rischi.

Tesi interpretativa n. 2
Un’altra tesi interpretativa, invece, non considera sufficiente la redazione del DVR ma ritiene anche necessario che la valutazione in esso contenuta, antecedente al momento della stipula del contratto, riporti i rischi specifici (infortunistici, per la salute, trasversali, etc.) ai quali sarà esposto il lavoratore nello svolgimento della mansione, tenendo altresì conto che lo stesso rientra anche in un gruppo di lavoratori esposti a rischi particolari – secondo l’espressione dell’art. 28, c. 1 D.Lgs. n. 81/2008 – in quanto la sua condizione di lavoratore “a termine” comporta, tra l’altro, una minore esperienza e familiarità con i luoghi e le attrezzature di lavoro, che lo espone quindi a dei rischi professionali aggiuntivi definibili da flessibilità.

Casi pratici

In diversi casi i Giudici hanno affrontato la questione del rapporto tra apposizione nel contratto di lavoro del termine di durata e mancanza della valutazione dei rischi; in particolare, la S.C. di Cassazione, sez. Lavoro – Sentenza del 23 agosto 2019, n. 21683 – ha affrontato la vicenda riguardante una lavoratrice assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, che aveva fatto ricorso al Giudice del lavoro contestando la legittimità dell’apposizione del termine a tale contratto in mancanza della valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza sul lavoro da parte del datore di lavoro.

I Giudici di merito davano ragione alla lavoratrice; infatti, con sentenza 2 luglio 2015, la Corte di Appello di Roma rigettava il ricorso del datore di lavoro avverso la sentenza di primo grado, di accertamento della nullità del termine apposto ai contratti stipulati tra le parti dal 2002 al 2007 per la omessa valutazione dei rischi, riconoscendo così la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato part-time per 25 ore settimanali tra le parti, oltre il diritto della lavoratrice all’inquadramento come redattrice, con la condanna del datore di lavoro anche al pagamento, a titolo risarcitorio, di un’indennità pari a 5 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto e con rigetto della domanda di accertamento della natura subordinata del rapporto da epoca anteriore al primo contratto a termine.

Il datore di lavoro proponeva, così, ricorso per cassazione lamentando, in primo luogo, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 437, secondo comma c.p.c., per la mancata ammissione della produzione documentale in ordine alla valutazione dei rischi e della relativa prova orale, quali mezzi istruttori indispensabili, nel senso della decisività ai fini del ribaltamento della decisione, senza alcuna valutazione al riguardo, benché sollecitato l’esercizio dei poteri officiosi giudiziali.

Inoltre, il datore di lavoro ha anche lamentato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115116244421435 c.p.c., per la mancata ammissione di prova orale richiesta in primo grado sull’esistenza del documento di valutazione dei rischi (DVR) di cui all’art. 4 del D.Lgs. n. 626/1994, ora artt. 172829 e ss.  D.Lgs. n. 81/2008, alla stregua di prova contraria a quella della lavoratrice, specificamente deducente nel ricorso introduttivo la mancanza di una tale valutazione, contestata dal datore stesso in comparsa di costituzione.

Ed, ancora, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115116, 421, secondo comma, 359 c.p.c., per erronea esclusione delle istanze istruttorie orali dedotte in primo grado e in appello, anche ai sensi degli artt. 421 e 437 c.p.c., sempre che non ravvisata la sola possibilità di prova in via documentale, in evidente contrasto con il principio di libertà dei mezzi di prova.

La S.C. di Cassazione ha accolto il primo motivo di ricorso – assorbiti gli altri – cassando la sentenza con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, sulla base di una serie di argomentazioni che qui è possibile richiamare brevemente.

Nell’ordinanza, infatti, i Giudici di legittimità hanno confermato che in materia di rapporto di lavoro a tempo determinato l’art. 3 D.Lgs. n. 368/2001sancisce il categorico “… il divieto di stipulare contratti di lavoro subordinato a termine per le imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, costituisce norma imperativa”.

La natura imperativa di tale divieto, riprodotto ora in modo pressoché pedissequo nell’art. 20, c. 1, lett. d) del D.Lgs. n 81/2015, come sottolineato ancora dalla S.C. di Cassazione trova la sua ratio nell’esigenza di una “… più intensa protezione dei lavoratori rispetto ai quali la flessibilità d’impiego riduce la familiarità con l’ambiente e gli strumenti di lavoro: con la conseguenza che, ove il datore di lavoro non provi di aver provveduto alla valutazione dei rischi prima della stipulazione, la clausola di apposizione del termine è nulla e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato ai sensi degli artt. 1339 e 1419, secondo comma c.c.”.

Inoltre, incombe sul datore di lavoro “… che intenda sottrarsi alle conseguenze della violazione della indicata disposizione, l’onere di provare di aver assolto specificamente all’adempimento richiesto dalla normativa”.

Si tratta, quindi, di un orientamento che consolida ulteriormente i precedenti interventi della giurisprudenza di legittimità che, bisogna ricordare, trovano la loro genesi con la Sentenza 2 aprile 2012, n. 5241, nella quale la S.C. di Cassazione non mancò anche di precisare la regola del necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza sul lavoro avente una valenza prioritaria assoluta (cfr. anche Cass. 21 marzo 2017, n. 8212; Cass. 17 novembre 2017, n. 27335; Cass. 31 maggio 2018, n. 13959).

In tale ottica si colloca, quindi, il divieto in questione finalizzato ad evitare che il lavoratore con contratto a termine svolga la propria prestazione in un’impresa in cui è mancante la valutazione dei rischi, con la conseguenza che la sua violazione comporta la nullità della clausola di apposizione del termine e il contratto di lavoro si considera a tempo indeterminato.

Si tratta, pertanto, di un’ulteriore “sanzione” che si colloca a fianco a quelle penali previste dal D.Lgs. n. 81/2008, a carico del datore di lavoro per la mancata valutazione dei rischi.

Tuttavia, nemmeno in tali casi la S.C. non è entrata specificamente nel merito del contenuto dell’adempimento della valutazione dei rischi nella fattispecie del lavoro a termine.

Soluzione operativa

Sul piano gestionale, quindi, è possibile approcciarsi alla valutazione dei rischi o limitandosi a redigere il DVR ma senza analizzare specificamente i rischi aggiuntivi a cui è esposto il lavoratore, oppure, a inserire, all’interno del DVR, anche i rischi da flessibilità a cui è esposto il lavoratore con contratto a tempo determinato e le relative misure.

Tra le due soluzioni quella che appare più corretta è la seconda, anche perché risulta essere più in sintonia con la ratio della norma e la citata regola del necessario equilibrio tra la flessibilità e sicurezza della Direttiva 1999/70/CE; inoltre, assegna un valore preminente agli aspetti sostanziali della tutela della salute rispetto ad una visione dell’obbligo in questione essenzialmente formalistica.

Per altro non va nemmeno dimenticato che nella già richiamata Sentenza 2 aprile 2012, n. 5241, la S.C. di Cassazione non ha mancato anche di rilevare che il lavoratore con rapporto a termine è esposto a rischi specifici aggiuntivi derivanti essenzialmente dalla “minor familiarità del lavoratore e della lavoratrice sia con l’ambiente di lavoro sia con gli strumenti di lavoro a cagione della minore esperienza e della minore formazione, unite alla minore professionalità e ad un’attenuata motivazione, come con dovizia emerge dal rapporto OIL, del 28 aprile 2010, Rischi emergenti e nuove forme dì prevenzione in un mondo del lavoro che cambia” (per un approfondimento si veda dello stesso Autore la CM “Valutazione dei rischi connessi alla specifica tipologia di contratto di lavoro”).

A tal proposito va ricordato che secondo lo studio dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul lavoro, Research on Changing World of Work, il lavoratore temporaneo è più esposto al rischio d’infortunio da 2 a 3 volte superiori rispetto a quelle registrate per i lavoratori con rapporto stabile.

Visita medica preventiva/periodica e riassunzioni del lavoratore

Nel caso di assunzioni successive qualora il lavoratore sia impiegato in mansioni che lo espongono allo stesso rischio nel corso del periodo di validità della visita preventiva o della visita periodica di cui all’art. 41, c. 2, lett. b), del D.Lgs. n. 81/2008 e comunque per un periodo non superiore ad 1 anno, il datore di lavoro non è tenuto ad effettuare una nuova visita preventiva, in quanto la situazione sanitaria del lavoratore risulta conosciuta dal medico competente. (Ministero del Lavoro e P.S., Interpello 24 ottobre 2013, n. 8).

Rifiuto del lavoratore a sottoporsi alla visita medica: sanzioni disciplinari e licenziamento

Nella gestione della safety aziendale non sono rari i casi in cui il prestatore di lavoro, specie se con un rapporto di lavoro non stabile, non si presenti alle visite mediche effettuate dal medico competente.

A tal proposito, quindi, si segnala che l’art. 20, c. 1, lett. i), del D.Lgs. n. 81/2008, obbliga il lavoratore a sottoporsi ai controlli sanitari previsti da tale decreto o comunque disposti dal medico competente; in caso di rifiuto il datore di lavoro deve provvedere ad indurli, ricorrendo, se necessario, ad adeguate sanzioni disciplinari  (Cfr. Cass. pen. sez. III, 20 giugno 1991, n. 6828).

Inoltre, la Cassazione Civile, sez. Lavoro, con la sentenza del 19 febbraio 2007, n. 3790, ha stabilito che il comportamento del lavoratore, il quale si sottragga ripetutamente, senza giusto motivo, all’obbligo di sottoporsi alla visita di controllo del suo stato di salute, rappresenta una condizione che legittima, in dipendenza della gravità della relativa violazione, il licenziamento da parte del datore di lavoro.

Formazione e il caso dei neoassunti

Anche per i lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato il datore di lavoro ha l’obbligo di assolvere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento previsti dal D.Lgs. n. 81/2008.

Tuttavia, è necessario verificare anche la sussistenza di eventuali disposizioni in materia previste dalla contrattazione collettiva; infatti, l’art. 26del D.Lgs. n. 81/2015, stabilisce appunto che i contratti collettivi possono prevedere oltre che modalità e strumenti diretti ad agevolare l’accesso dei lavoratori a tempo determinato, anche regole per garantire una formazione adeguata e per aumentarne la qualificazione, promuoverne la carriera e migliorarne la mobilità occupazionale.

Criticità gestionale

Nel nuovo Accordo Stato – Regioni 17 aprile 2025, non è stata riproposta la norma (molto discutibile) contenuta originariamente nell’Accordo del 21 dicembre 2011, che concedeva 60 giorni di tempo per i corsi di formazione dei lavoratori neo assunti (e dei dirigenti e preposti) ove “….. non risulti possibile completare il corso di formazione…..” al momento dell’assunzione.

Invero, si trattava di una disposizione che si poneva in evidente contrasto con i dettami della norma primaria, ossia con l’art. 37, c.4, del D.Lgs. n. 81/2008, la cui abrogazione, quindi, consente il superamento di questo “equivoco”.

Pertanto, si conferma che la formazione – e, ove previsto, l’addestramento specifico – deve avvenire in occasione della costituzione del rapporto di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro.

Sul piano gestionale, tuttavia, possono sorgere alcune criticità in quanto frequentemente il contratto di lavoro a tempo determinato risponde ad esigenze sostitutive del personale per cui non sempre è agevole erogare la formazione al momento dell’inizio del rapporto di lavoro.

A tal fine, quindi, andranno aggiornate le procedure aziendali e valutata la possibilità di ricorrere ad altri strumenti contrattuali come la somministrazione di lavoro.

Principio di non discriminazione e aspetti sanzionatori

Al lavoratore a tempo determinato spetta il trattamento economico e normativo in atto nell’impresa per i lavoratori con contratto a tempo indeterminato comparabili, intendendosi per tali quelli inquadrati nello stesso livello in forza dei criteri di classificazione stabiliti dalla contrattazione collettiva, ed in proporzione al periodo lavorativo prestato, sempre che non sia obiettivamente incompatibile con la natura del contratto a tempo determinato (art. 25, comma 1, D.Lgs. n. 81/2015).

La norma pone, quindi, il principio di non discriminazione dei lavoratori occupati in base al contratto di lavoro a tempo determinato che appare rilevante anche per quanto riguarda la gestione operativa della salute e della sicurezza sul lavoro (es. organizzazione dei turni di lavoro, carichi di lavoro, formazione, sorveglianza sanitaria, DPI, etc.).

In caso d’inosservanza di tali obblighi il datore di lavoro è punito con la sanzione amministrativa da 25,82 euro a 154,94 euro; se l’inosservanza si riferisce a più di cinque lavoratori, si applica la sanzione amministrativa da 154,94 euro a 1.032,91 euro (art. 25, comma 2, D.Lgs. n.81/2015).

Agricoltura

L’art. 3, commi 13 e 13-ter del D.Lgs. n. 81/2008, in considerazione delle specificità che caratterizzano il lavoro agricolo, prevede un regime particolare che stabilisce alcune semplificazioni in materia di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria, regolamentate dal D.M. 27 marzo 2013.

Tale disciplina si applica ai lavoratori stagionali che svolgono presso la stessa azienda un numero di giornate non superiore a 50 nell’anno, limitatamente a lavorazioni generiche e semplici non richiedenti specifici requisiti professionali, e ai lavoratori occasionali che svolgono prestazioni di lavoro accessorio di carattere stagionale nelle imprese agricole (si veda anche l’art. 1 del D.L. 17 marzo 2017, n. 25 convertito dalla Legge 20 aprile 2017, n. 49).

Computo numerico

L’art. 27 del D.Lgs. n. 81/2015, stabilisce che salvo che sia diversamente disposto, ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti del datore di lavoro, si tiene conto del numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro.

Di conseguenza, rimane valida l’esclusione dal computo numerico ai fini della sicurezza dei lavoratori assunti con contratto di lavoro a tempo determinato in sostituzione di altri prestatori di lavoro assenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro (art. 4, c. 1, lett. d, D.Lgs. n. 81/2008D.Lgs. n.81/2008).

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