COMMENTO
DI MATTEO RIZZARDI | 15 DICEMBRE 2025
L’annosa questione dell’omesso versamento IVA (art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000) ha subito, per opera del D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, una profonda rivisitazione strutturale che ha di fatto ridefinito i confini tra l’illecito penale e la mera gestione (seppur discutibile) del debito tributario. La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 38438 depositata il 27 novembre 2025, ha offerto un primo, significativo, chiarimento circa la portata deflattiva e la retroattività della nuova disciplina, delineando come l’adesione a un piano di rateizzazione del debito non sia più un semplice elemento di mitigazione postumo, bensì una condizione oggettiva che esclude la tipicità penale.
Premessa
Immaginate il contribuente che, pur avendo diligentemente dichiarato l’IVA dovuta, si ritrova con le casse vuote al momento del saldo. Fino a ieri, superata la soglia di 250.000 euro e scaduto il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, il reato era perfezionato. La rateizzazione, se pure ottenuta, aveva solo un ruolo “cosmetico”: poteva eventualmente condurre alla non punibilità (art. 13D.Lgs. n. 74/2000), ma solo a patto che il debito fosse integralmente estinto (comprese sanzioni e interessi) prima dell’apertura del dibattimento di primo grado. Un approccio rigido, quasi punitivo ab initio, che non lasciava spazio a una gestione concordata del dissesto.
La nuova geometria del reato tributario
Il legislatore del 2024, tramite l’art. 1, comma 1, lett. c) del D.Lgs. n. 87/2024, ha stravolto questo impianto, intervenendo direttamente sulla fattispecie incriminatrice dell’art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000.
La prima novità è di natura temporale, spostando il momento consumativo del reato: il mancato versamento è ora sanzionato se avviene oltre il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale (in precedenza era entro il termine per l’acconto successivo).
La modifica dirompente, tuttavia, riguarda la clausola di non punibilità intrinseca. Il nuovo art. 10-ter stabilisce che l’omesso versamento, pur superando la soglia di 250.000 euro, non è punito “se il debito tributario non è in corso di estinzione mediante rateazione” ai sensi dell’art. 3-bis del D.Lgs. n. 462/1997. In sostanza, la rateizzazione, se validamente richiesta e regolarmente adempiuta, diventa un elemento negativo della fattispecie, escludendone la rilevanza penale prima che il reato possa dirsi consumato.
Ci troviamo di fronte a una “fattispecie a geometria diversa”, dove la rilevanza penale si articola in tre scenari distinti:
- assenza di piano di rateazione: il reato si perfeziona se l’omesso versamento supera € 250.000;
- rateazione in corso e in regola: il reato semplicemente non è punibile, essendone esclusa la tipicità;
- decadenza dalla rateazione: il reato si perfeziona in caso di decadenza dal beneficio, ma solo se l’ammontare del debito residuo è superiore a € 75.000.
La Relazione tecnica al D.Lgs. n. 87/2024 è chiara: l’intento è punire la “manifestazione inequivoca della volontà del contribuente di sottrarsi, sin da principio, al pagamento dell’obbligazione tributaria”. Se il contribuente ha attivato un piano (art. 3-bis D.Lgs. n. 462/1997) ed è in regola, non c’è volontà di evasione, ma, al più, una difficoltà finanziaria regolamentata.
Il caso in Cassazione: il vizio del giudice e la lex mitior
La recente pronuncia della Suprema Corte (sentenza n. 38438/2025) ha messo in luce, con una certa durezza, l’applicazione intertemporale della norma.
Il caso riguardava una condanna per omesso versamento IVA relativo all’annualità 2015, con un debito ben superiore alla soglia (€ 450.280). La parte, tuttavia, aveva intrapreso un percorso di estinzione del debito mediante una rateizzazione concessa dall’Agenzia delle Entrate, regolarmente onorata per diverse rate, e successivamente integrata con la “rottamazione quater” per il residuo.
Durante il giudizio di appello, entrato in vigore il D.Lgs. n. 87/2024, la difesa aveva sollevato la questione cruciale: l’esistenza di un piano di pagamento in corso avrebbe dovuto escludere la configurabilità stessa del reato. La Corte d’Appello di Catania, però, aveva omesso di esaminare la memoria difensiva e la questione di diritto relativa al mutato quadro normativo. Un’omissione che la Cassazione non ha potuto ignorare.
Gli Ermellini hanno dovuto applicare il principio del favor rei (art. 2, comma 4, c.p.), riconoscendo che la disposizione modificata è indubbiamente più favorevole al reo, in quanto rende operante la non punibilità in presenza di un piano rateale attivo. La Cassazione ha dunque stabilito che il giudice di merito era tenuto a verificare l’operatività della causa di non punibilità, proprio perché la rateizzazione in corso, ora, esclude la stessa perfezione del reato.
Nonostante la Cassazione abbia annullato la sentenza impugnata per consentire tale verifica, ha dovuto concludere in modo pragmatico: il reato contestato (risalente al 2015) era, nelle more del giudizio di legittimità, estinto per prescrizione.
Uno spunto critico: l’obbligo di diligenza fiscale del giudice
La sentenza, pur essendo tecnicamente ineccepibile sotto il profilo della lex mitior, lascia un retrogusto amaro. La Cassazione ha infatti rimarcato il vizio della Corte territoriale, la quale ha “omesso di esaminare la questione di diritto sollevata nella memoria difensiva prodotta nel giudizio di appello celebrato già dopo la modifica legislativa”.
Questo episodio solleva un interrogativo pungente sull’effettiva padronanza delle riforme da parte dei giudici di merito, specialmente quando queste intervengono sul diritto penale tributario con modifiche così strutturali. Il contribuente condannato, che aveva avviato e onorato, in parte, il proprio piano di estinzione del debito (utilizzando anche strumenti statali come la rottamazione quater), si è visto negare la valutazione di un beneficio normativo che gli spettava di diritto.
È paradossale che la ratio deflattiva della riforma – volta a distinguere l’evasore dal debitore in difficoltà – sia stata inizialmente disattesa, obbligando il contribuente a percorrere l’intero iter processuale fino alla Cassazione, ottenendo un annullamento che, di fatto, è stato scavalcato solo dalla prescrizione.
La riforma ha trasformato il reato di omesso versamento IVA in un sofisticato meccanismo a orologeria: se hai il tuo piano di rateizzazione attivo, sei fuori pericolo penale. Se sei decaduto, l’asticella del debito residuo scende vertiginosamente a € 75.000.
La vera sfida, ora, non è più solo onorare il debito, ma assicurarsi che l’amministrazione giudiziaria sia pienamente consapevole di questa “nuova geometria fiscale”, evitando che l’inerzia o l’omissione del giudice di merito costringa il contribuente, seppur con un debito in via di estinzione, a un pellegrinaggio giudiziario inutile. La rateizzazione, in sintesi, non è una scappatoia, ma il nuovo cordone ombelicale tra lo Stato e l’imprenditore in crisi di liquidità, la cui interruzione diventa l’unico vero segnale di allarme penale.
L’interpretazione giurisprudenziale qui esposta evidenzia come la nuova disciplina penale tributaria stia cercando di allineare la sanzione penale alla reale intenzione di sottrarsi al fisco. Se in passato il mancato pagamento era di per sé un atto criminoso superata una certa soglia, oggi il legislatore sembra dire: finché stringi un accordo di rateizzazione con lo Stato e lo rispetti, la tua non è evasione criminale, ma una complicanza di cassa.
È come se lo Stato avesse spostato la sua lente d’ingrandimento non sul fatto che la fattura sia rimasta non pagata, ma sul fatto che il contribuente abbia attivamente rinunciato a qualunque soluzione di compromesso.
Riferimenti normativi:
- D.Lgs. 14 giugno 2024, n. 87, art. 1;
- Cass. pen., sez. III, sent. 27 novembre 2025, n. 38438.
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