COMMENTO
DI GIOVANNI IMPROTA | 23 DICEMBRE 2025
Con la Sentenza n. 188/2025 la Corte costituzionale torna a pronunciarsi sul il tema, di persistente attualità, del rapporto tra tutela della retribuzione ex art. 36 Cost., autonomia della contrattazione collettiva e uso “strategico” degli appalti pubblici quale strumento di politica sociale.
In particolare, la Corte costituzionale, nel pronunciarsi sui ricorsi promossi dal Governo avverso l’art. 2, comma 2, della legge della Regione Puglia 21 novembre 2024, n. 30 che imponeva alle stazioni appaltanti regionali la verifica che i contratti collettivi indicati nelle procedure di gara garantissero una retribuzione minima tabellare inderogabile pari a nove euro l’ora, ha dichiarato inammissibili tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate.
I contenuti della Legge Regionale n. 30/2024
Con Legge 21 novembre 2024, n. 30, il Consiglio regionale pugliese ha disciplinato norme e interventi graduali finalizzati alla tutela della retribuzione minima salariale nei contratti della Regione Puglia.
Il provvedimento normativo, in particolare, ha regolamentato le procedure di gara stabilendo che:
- la Regione Puglia;
- le aziende sanitarie locali;
- le aziende ospedaliere;
- la Sanitaservice;
- le agenzie regionali e tutti gli enti strumentali regionali,
siano tenuti ad indicare, in qualità di stazioni appaltanti, in sede di indizione delle gare d’appalto, in conformità a quanto previsto dall’art. 11 D.Lgs. n. 36/2023 (Codice degli appalti pubblici), che ai lavoratori impiegati negli appalti venga applicato il CCNL attinente all’attività svolta stipulato dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative.
L’art. 11 comma 1 del D.Lgs. n. 36/2023 (codice degli appalti Pubblici) prevede che “Al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni è applicato il contratto collettivo nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni di lavoro, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e quello il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente”.
La norma regionale in commento prevede altresì a carico degli enti sopra indicati l’obbligo di verificare che i contratti indicati nelle procedure di gara stabiliscano un trattamento economico minimo inderogabile pari a 9,00 € l’ora.
Nel caso in cui gli operatori economici che partecipano alle gare d’appalto indette dai suddetti enti dovessero applicare un differente CCNL da quello indicato nel relativo bando di gara dalla stazione appaltante, quest’ultima sarà chiamata a verificare che tale diverso CCNL garantisca ai dipendenti le stesse tutele di quello indicato nel bando di gara.
Infine, gli operatori economici sono tenuti a condurre un giudizio di equivalenza sulla base dei 12 parametri indicati dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nella relazione illustrativa al Bando tipo n. 1/2023, elaborati sulla base delle indicazioni fornite dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Circolare 28 luglio 2020, n. 2 .
Può anche ritenersi sussistente l’equivalenza in caso di scostamenti in numero massimo di due parametri, accertando preventivamente che il diverso contratto collettivo indicato dagli operatori economici in sede di offerta preveda una retribuzione minima inderogabile pari a nove euro l’ora.
Pertanto, la verifica da effettuare verte sulla equivalenza sia delle tutele normative che delle tutele economiche dei diversi contratti collettivi (art. 2).
L’analisi della sentenza della Corte Costituzionale n. 188/2025
Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Governo
Con riferimento alla Legge della Regione Puglia n. 30/2024, il Governo ha sollevato dinanzi la Corte Costituzionale la legittimità delle norme in essa contenute, denunciando nello specifico la violazione:
- dell’art. 36 Cost., in quanto nel nostro ordinamento italiano non sussiste una norma che stabilisca un salario minimo legale, con la conseguenza che la fissazione di una soglia numerica sia quindi da considerarsi incompatibile con il principio di retribuzione proporzionata e sufficiente;
- dell’art. 39, comma 4, Cost., per indebita compressione dell’autonomia collettiva;
- dell’art. 117, comma 2, lett. l) e m), Cost., per invasione della competenza statale in materia di ordinamento civile e livelli essenziali delle prestazioni.
In particolare, secondo l’Esecutivo, la direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022, relativa ai salari minimi adeguati nell’Unione europea, ancorché sia finalizzata a garantire condizioni dignitose ai lavoratori dell’Unione, di fatto non prevede una soglia retributiva minima prestabilita, consentendo quindi alla contrattazione collettiva di individuare autonomamente i livelli salariali minimi nei singoli settori.
In ragione di quanto sopra, a parere del Governo:
- l’introduzione a livello regionale di una retribuzione minima inderogabile sarebbe pertanto in contrasto con i principi costituzionali in materia di retribuzione, oltre a essere elemento limitativo della libera concorrenza tra operatori economici;
- la determinazione del salario costituirebbe un aspetto peculiare della disciplina del rapporto di lavoro sia privato che pubblico e, per pacifico orientamento della giurisprudenza di Corte Costituzionale ogni norma che disciplini il contratto, quale fonte regolatrice del rapporto di lavoro subordinato, andrebbe ascritta alla materia dell’ordinamento civile (si richiama la Sentenza n. 50/2005, sulla Legge 14 febbraio 2003, n. 30, recante “Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro”, cosiddetta Legge “Biagi”), con esclusione dell’intervento regionale, mentre le esigenze di uniformità ed eguaglianza che permeano fortemente la disciplina del contratto di lavoro giustificherebbero la potestà legislativa esclusiva statale ai sensi dell’art. 117, comma 2, lettere l) e m), Cost.
La difesa della Regione Puglia
Si è costituita in giudizio la Regione Puglia, in persona del Presidente della Giunta regionale, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale fossero dichiarate inammissibili e, in ogni caso, non fondate sulla base delle seguenti argomentazioni.
→ In primo luogo, la Regione Puglia precisa che l’art. 2 della Legge n. 30/2024 si inserisce in una serie di interventi normativi regionali volti, da un lato, ad assicurare condizioni di lavoro dignitose e a garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori, e dall’altro, a contrastare il fenomeno del cosiddetto “dumping contrattuale“.
→ In secondo luogo, a parere della Regione Puglia, l’art. 2 della Legge n. 30/2024 non risulterebbe in contrasto con il principio della retribuzione proporzionata e sufficiente, in quanto essa non inciderebbe sulla retribuzione nei contratti di lavoro individuali e collettivi, ma solo sulla scelta del CCNL applicabile in sede di gara.
→ In terzo luogo, la difesa regionale richiama, inoltre, sia le recenti sentenze della Corte di cassazione – che, in giudizi relativi a lavoratori assunti anche da ditte appaltatrici di enti pubblici o società in house, avrebbero riconosciuto il potere del giudice di motivatamente discostarsi dalla retribuzione stabilita dalla contrattazione collettiva nazionale, quando in contrasto con i criteri di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost. (Cass., n. 27713/223 e n. 27711/2023 nonché Corte di cassazione sezione lavoro, Sentenze 10 ottobre 2023,n. 28320, n. 28321 e n. 28323 e 2 ottobre 2023, n. 27769 ) – che alcuni pareri dell’ANAC nei quali in sede di precontenzioso sarebbe stato ritenuto legittimo dalla giurisprudenza amministrativa il potere dell’amministrazione di sindacare il CCNL proposto al fine di accertare che il livello stipendiale sia conforme all’art. 36Cost.
→ Sempre in relazione alla disciplina degli appalti pubblici, in quarto luogo, la difesa regionale cita l’art. 26 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, che consente alle amministrazioni aggiudicatrici di esigere condizioni particolari, anche di ordine sociale e ambientale, in merito all’esecuzione dell’appalto, purché compatibili con il diritto comunitario e precisate nel bando di gara o nel capitolato d’oneri.
Al riguardo, la Corte di giustizia avrebbe ritenuto legittima una normativa regionale che imponeva all’offerente e ai subappaltatori l’impegno a versare un salario minimo al personale (Corte di giustizia dell’Unione europea, quarta sezione, sentenza 17 novembre 2015, causa C-115/14, RegioPost GmbH & Co. KG), al pari quindi dell’art. 2 Legge n. 30/2024 che fisserebbe condizioni rispetto alle quali gli operatori economici resterebbero liberi di scegliere se partecipare alla gara, contemperando in questo modo la libertà di iniziativa economica e la leale concorrenza con i valori sociali.
La Corte Costituzionale al termine del relativo procedimento respinge tutte le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Governo in ordine alla Legge Regionale n. 30/2024 sulla base delle motivazioni di seguito indicate.
La decisione della Corte Costituzionale
A parere della Corte Costituzionale, la disposizione contenuta nell’art. 2 comma 2 della Legge n. 30/2024 deve essere intesa come norma destinata esclusivamente alle procedure di evidenza pubblica bandite dalla Regione e dai suoi enti strumentali, con la conseguenza che tale norma non introduce un obbligo generalizzato di retribuzione minima, ma si limita a porre un criterio di verifica del CCNL indicato in gara, lasciando impregiudicata:
- la libertà dell’operatore economico di partecipare o meno alla procedura;
- la possibilità di indicare un diverso contratto collettivo, purché equivalente ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 36/2023.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 36 Cost., la Corte precisare che nel caso di specie il Governo si era limitato ad affermare l’inesistenza di un salario minimo legale nell’ordinamento, senza spiegare perché una soglia retributiva utilizzata come criterio di selezione in gara si porrebbe in contrasto con i principi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione.
Analoga sorte subiscono le censure riferite all’art. 39 Cost., formulate in modo generico e senza confrontarsi con la distinzione tra efficacia erga omnes della contrattazione collettiva e utilizzo della stessa quale parametro esterno nelle procedure pubbliche.
La Corte infine precisa che anche le doglianze fondate sull’art. 117, comma 2, lett. l) e m), Cost. devono ritenersi inammissibili.
Considerazioni conclusive
La Sentenza n. 188/2025 non risolve in via definitiva il dibattito sul salario minimo, ma chiarisce che non ogni intervento normativo incidente indirettamente sulle retribuzioni integra una violazione dell’art. 36 o dell’art. 39 Cost.
Essa segna, piuttosto, un punto fermo sul piano metodologico: la valutazione di legittimità costituzionale deve muovere da una corretta qualificazione della fattispecie normativa e dal contesto – quello degli appalti pubblici – in cui essa opera.
In tal senso, la pronuncia rafforza l’idea che la tutela del lavoro “povero” possa essere perseguita anche attraverso strumenti di regolazione del mercato, senza necessariamente tradursi in una disciplina generale e imperativa del rapporto di lavoro, aprendo spazi di riflessione rilevanti tanto per il legislatore quanto per la prassi amministrativa e contrattuale.
Riferimenti normativi:
- Costituzione, art. 36
- D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36, art. 11
- Legge Regione Puglia 21 novembre 2024, n. 30, art. 2
- Corte costituzionale, Sentenza 16 dicembre 2025, n. 188
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